Dalla parte del Toro

 

Già dal 9 dicembre, Pinocchio, l’ultimo film diretto da Guillermo del Toro, è disponibile su Netflix. La notizia, ormai, non ha più dell’incredibile. Sono anni che il grande portale d’intrattenimento ha adottato una linea editoriale fortemente cinefila da affiancare alle produzioni di lungometraggi, serie o show televisivi di decisamente più discutibile fattura. “Uno per me e uno per loro”, dicevano i grandi autori di un tempo costretti a scendere a compromessi con l’industria per farsi produrre poi un titolo a cui davvero tenessero e in cui speravano di esercitare il maggior controllo creativo possibile. “Uno per me e uno per loro” è anche quello che sembra pensare Netflix alternando dunque la proposta tra scelte estremamente popolari e altre fortemente autoriali.

In un solo boccone, insomma, la grande N rossa pare voglia cibarsi dell’intera filiera e attirare nella sua rete la totalità del pubblico. Allo stesso tempo, però, “uno per me e uno per loro” deve essere stato anche ciò che ha pensato il cineasta messicano quando ha accettato di farsi produrre il suo lavoro in stop motion. Se infatti Pinocchio ha trovato uno spazio all’interno del catalogo online di Netflix, è anche vero che accanto a questa uscita del Toro si è prestato a prendere parte a un progetto da lui coordinato e presentato (come ai vecchi tempi di Hitchcock): Cabinet of Curiosities. Si tratta di una serie antologica, in cui ogni episodio è mirato a intrattenere il pubblico con una narrazione di stampo horror basata sul paradigma e lo stile maggiormente cari all’autore messicano che, come un burattinaio delle immagini, tira le fila dei suoi collaboratori e introduce ogni singola puntata accogliendoci nel suo mondo. 

Ora, con molta probabilità, se non ci fosse stato Pinocchio, non ci sarebbe stato nemmeno Cabinet of Curiosities e viceversa. Insomma, la mossa, produttivamente parlando, sembra essere un win win solido e compatto. Così come lo fu l’accordo tra Netflix e Martin Scorsese ai tempi di The Irishman e Pretend It’s a City, o con Paolo Sorrentino presente con un cameo un po’ forzato nello show di Alessandro Cattelan dopo la produzione di È stata la mano di Dio. Uno per me e uno per loro. Da un punto di vista industriale, il discorso è ben più ampio, complesso e interessante.

Sarebbe infatti doveroso iniziare ad analizzare con attenzione tutta la libertà creativa che Netflix garantisce ai suoi autori una volta contrattualizzato il loro nuovo progetto, e di come questi la impieghino in tutto e per tutto spesso non accorgendosi che un limite, un parere esterno, un minimo ostacolo mirato ad arginare il loro fiume in piena potrebbe portare più vantaggio che danno. Ma non è questa la sede. O meglio, non è questo il momento. Qui ci preme ragionare sul più recente percorso di Guillermo del Toro, un autore da sempre devoto al cinema popolare e allo sguardo mainstream, ma che negli anni è riuscito a cucirsi perfettamente addosso i panni di un autore di tutto rispetto amato anche dalla nicchia più cinefila (il Leone d’oro di Venezia certifica la portata di questo affetto). Da sempre attento a ibridare la sua immagine, a dialogare con pubblici diversi proprio similmente alla linea editoriale di Netflix, risulta interessante notare come proprio all’interno di questa piattaforma il regista si sia mosso con agile malleabilità di formati e tecniche, confermando quindi uno sguardo del tutto assente da pregiudizi formali e perfettamente calato nelle maglie della produzione più contemporanea.  

Pinocchio è solo l’ultimo tassello, in ordine cronologico, di una presenza molto corposa sul portale. Si tratta di un film in animazione, ma chiaramente sono presenti altri lungometraggi acquisiti strada facendo per bilanciare la componente live action. Esattamente come le serie televisive: da una parte Cabinet of Curiosities, dall’altra la serie animata Trollhunters creata proprio da del Toro in produzione con DreamWorks, casa di produzione in cui per anni ha ricoperto il ruolo di produttore di film presenti, guarda caso, all’interno del catalogo Netflix (Il gatto con gli stivali, Kung Fu Panda 2, Le 5 leggende, ecc.).

Il futuro di questa industria, e della nostra passione che da qui deriva, è più incerto che mai. Sarà interessante restare vigili e studiare ogni tappa di quello che di qui a poco potrebbe accadere. Certo è però, che se il panorama audiovisivo è destinato a diventare sempre più ibrido, cangiante e flessibile nel dialogare con più pubblici e lavorare su più finestre estetiche e mediali contemporaneamente, quella intrapresa da Guillermo del Toro sembra davvero essere una strada anticipatrice e ben consapevole che gli ha permesso di trovare risonanza e spazio da parte di uno dei player internazionali più quotati del momento. Netflix sta dalla parte del Toro. Olè.

Simone Soranna

Simone Soranna, classe 1991, laureato in Lettere moderne. È caporedattore del portale LongTake.it, scrive per la rivista Cineforum, lavora come corrispondente dai maggiori festival internazionali (Cannes, Venezia, Berlino) per Fred Film Radio e ha collaborato come anchorman per SkyCinema.

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