Mr. Scorsese – l’omaggio firmato da Rebecca Miller su Apple TV+
Quando si parla di Martin Scorsese dobbiamo tutti, dal primo all’ultimo, alzare le mani in cielo e pregare, qualsiasi sia il vostro credo perché: “Non c’è nessuno come lui e non ci sarà mai più nessuno come lui”, lo dice Steven Spielberg, dunque non l’ultimo arrivato, nel bellissimo e imprescindibile docufilm di Rebecca Miller Mr. Scorsese (Apple TV+), di freschissima uscita on-demand.
La Miller, regista e produttrice di questo progetto che le ha impegnato ben cinque anni di ricerca, raccolta e semina è un must have per ogni cinefilo, studente di Cinema, o semplice appassionato che si rispetti; nei cinque episodi del docufilm, anzi nel Portrait Film, come ben indicano i titoli di testa in apertura per ogni “capitolo”, assistiamo contemporaneamente ad interviste, immagini di repertorio e fotografie mai viste, clip tratte dai grandi successi del regista italoamericano e una colonna sonora da paura, immancabili gli amati The Rolling Stones, con Jumpin’ Jack Flash e Gimme Shelter, ma anche i Cream, Bo Diddley, Sonic Youth. Detto così sembra tuttavia un docufilm fondato su una struttura classicheggiante ma in realtà non lo è affatto, o almeno lo è in parte. Esploriamo, attraverso gli episodi sì ad una cronostoria progressiva, dai primi anni della gioventù a Little Italy fino ai grandi successi (non commerciali) della New Hollywood di Mean Streets, Taxi Driver e Toro Scatenato, per poi passare alle parentesi meno riuscite e alla rivalsa di Quei bravi ragazzi e Casinò, e i due progetti decisamente più problematici, L’ultima tentazione di Cristo e Gangs of New York, alla vittoria agli Oscar con The Departed alla follia presente (anche sul set) e al successo inaspettato di The Wolf of Wall Street chiudendo con The Irishman e The Killers of the Flower Moon. Il docufilm stuzzica gli spettatori con un ritmo velocissimo, appunto scorsesiano, dove anche le stesse e apparentemente statiche interviste sembrano fuoriuscire da un film di Marty, in particolare quelle dove vengono “messi in quadro” alcuni degli amici di infanzia di Mr. Scorsese a Little Italy, personaggi decisamente coloriti a cui effettivamente il regista si è ispirato direttamente per i personaggi protagonisti dei suoi film, come Johnny Boy di Mean Streets. Ma naturalmente non è solo questo, come vi dicevo; tra gli intervistati, si passa da paragrafi personali con le dichiarazioni, anche da archivio, dei suoi famigliari ai suoi stretti collaboratori come Robert De Niro, Leonardo Di Caprio, Thelma Schoonmaker (la fidatissima montatrice di quasi tutti i suoi film e amica storica del regista), agli sceneggiatori Paul Schrader o Nicholas Pileggi, e connettendo le linee si configura un ritratto agiografico di “un santo e un peccatore”, come infatti illustra benissimo il titolo del terzo episodio, un uomo di Cinema fra i più grandi di sempre, che ha dedicato e continua a dedicare alla Settima Arte praticamente tutto della sua vita senza compromessi, dubitando sempre e in ogni circostanza della sua moralità ma allo stesso tempo, fra le immagini, scorgiamo anche la raffigurazione di un outsider completo: il documentario si sofferma molto sulle sue continue “Cadute”, i periodi più bui del regista, le descrive come delle morti, ed è Scorsese stesso a definire che nella sua vita ci sono state ben due morti. Il suo realismo nel ritrarre i vari “Underground Men” che popolano il suo Cinema, da Travis Bickle a Jake LaMotta, a Howard Hughes a Jordan Belfort a Padre Sebastiao Rodrigues di Silence, è l’espressione diretta di come Scorsese ha in parte vissuto, le sue storie sono racconti di affermazione e di trovare posto in un mondo crudissimo dove la violenza è ad ogni angolo e lui ha deciso di guardarla in faccia senza voltarsi dall’altra parte, proprio come faceva da ragazzino in cui incappava spesso e volentieri in omicidi e ammazzamenti sotto casa. “L’America è nata fra le strade e nel sangue”, si recita in Gangs of New York, e di questo Scorsese ne ha fatto un mantra per la vita.
Non per ultimo traspare l’amore senza confini per il Cinema, sia per il mestiere di regista cinematografico dove illustri colleghi come Brian De Palma, Steven Spielberg, Ari Aster, Daniel Day-Lewis, Sharon Stone si prodigano in elogi e sottolineano gli aspetti importanti, anche storicamente, delle sue regie e della sua filmografia ma è anche Martin Scorsese stesso ad intervenir regalando agli spettatori delle vere perle e lezioni di puro Cinema, a titolo di esempio: “La cosa più difficile è pensare al disegno di un film. Ciò che serve visivamente per la scena. Cosa c’è o non c’è nell’immagine. La cinepresa si dovrebbe muovere? Si muovono anche loro? Dovrebbe esserci movimento nell’inquadratura stessa? Ci dovrebbe essere una carrellata? O lasciare tutto così com’è? Non muovere affatto la macchina da presa. Tenerla ferma. Se lui o lei escono dall’inquadratura li segui o li fai rientrare? Mi piace giocare con tutto ciò. Penso alla filosofia della ripresa prima di andare sul set. La filosofia, il significato della ripresa”. Dai suoi storyboard disegnati da bambino prodigio e visionario che nel docufilm della Miller “magicamente” prendono vita come dei brevissimi short film, alle sue scelte registiche più famose (come dimenticare il piano sequenza in Quei bravi ragazzi? O la pianificazione delle serratissime inquadrature delle sequenze sul ring di Toro Scatenato?), quello che emerge è appunto la vita e la visione di un uomo incredibile, un Maestro di Cinema nella più alta accezione possibile e che ha fatto del suo continuo dubitare, della sua fede (nella religione e nel Cinema) e del suo mettersi in gioco espressamente, con tutti i suoi difetti, la sua cifra esistenziale e non solo stilistica. Rebecca Miller quindi ha realizzato un lavoro totale su Martin Scorsese, non solo un omaggio sentito ma anche un ritratto oggettivissimo ed un manuale di studio che dovrebbe per sempre rimanere ancorato nel cuore di ogni singolo spettatore che vuole conoscere “Cos’è il Cinema”, di baziniana memoria.