Selective Outrage: «Chi dice che le parole feriscono, non ha mai preso un pugno in faccia!»

 

Chi scrive ha seguito in diretta la cerimonia degli Oscar 2022 ma si è perso quei pochi secondi che hanno ospitato lo schiaffo di Will Smith a Chris Rock. Lo stesso scrivente però ricorda bene la confusione della redazione di Sentieri Selvaggi, con la quale stava trascorrendo quella notte a distanza su Zoom, e che per alcuni lunghissimi minuti non ha saputo come reagire. È successo? Non è successo? Sì… ma cosa è successo? A certe cose, di solito, ci si crede solo dopo averle viste. A un anno esatto da quell’evento, Rock sbarca su Netflix con Selective Outrage, speciale comico dedicato alle tematiche più disparata ma con una evidente struttura a spirale su questo soggetto. L’apertura è abbastanza allusiva da mettere subito sul tavolo il tono polemico: «Cercherò di fare uno show senza offendere nessuno perché la gente si spaventa». 

Ma è soprattutto il passaggio successivo quello che si potrebbe definire programmatico: «Chi dice che le parole feriscono, non ha mai preso un pugno in faccia!». È quindi la carta dell’autoassoluzione quella che l’intrattenitore afroamericano sceglie di giocare questa volta. Ma andiamo con ordine e guardiamo allo spettacolo cercando di capire di cosa si tratta. L’argomento principale, quello che guida l’intero monologo, è la definizione di “indignazione selettiva”. Un concetto ambiguo, controverso e in un certo senso sovrastimato almeno quanto il gemello “politicamente corretto”. Ma cosa intende con questa espressione? «Qualcuno fa qualcosa e viene cancellato… qualcun altro fa la stessa identica cosa e non gli accade niente». 

La questione riguarda quindi la percezione che l’opinione pubblica sviluppa nei confronti delle celebrità, che però verrebbero trattate in base a differenti livelli di popolarità. Michael Jackson va bene, R. Kelly no, perché il primo canta meglio. «Eppure sono accusati dello stesso reato!». Come una sorta di gerarchia della simpatia. Eccoci subito al punto. Ma il discorso è molto più ampio e riguarda il linguaggio, quindi il pensiero. Rock racconta di una telefonata avuta con tale Fred, amico dai tempi della scuola, che gli avrebbe parlato bene dell’ambiente di lavoro come se qualcuno in quel momento fosse in ascolto, quasi ci trovassimo in una scena del film “Le vite degli altri” ma con un’agenzia di servizi segreti woke al posto della Stasi. 

L’immagine è certamente efficace, ma finisce con l’assumere connotati alquanto ridicoli. Rock certamente lo sa e passa presto ad altro, pur rimanendo nell’ambito dell’ipocrisia sociale contemporanea. Ha un solo obiettivo: preparare gli spettatori a ciò che verrà, ovvero il suo martirio, la sua versione. Nel frattempo consolida il discorso tramite l’analisi critica della comunicazione aziendale, dell’attivismo civile e della beneficienza di comodo. Ogni cosa, secondo la sua storia, è alterata dalla necessità di apparire puliti. Ma c’è di più. Oggi chiunque sarebbe dipendente da una cosa sola: l’attenzione. Il grande problema del nostro presente, secondo il comico, sarebbe il definirsi vittime. E qui scatta la parte obiettivamente più divertente dell’intero show: «Gli uomini bianchi pensano davvero che gli stiano rubando il Paese... Ma chi? Non noi!». Come al solito, Rock dà il meglio di sé quando torna alle sue origini, alla militanza antirazzista.

Mentre la lunga parte centrale è dedicata, nell’ordine, alle difficoltà dell’essere padre, alla consapevolezza di avere due figlie ricche e viziate e a una controversa elucubrazione sul potere che le donne avrebbero sugli uomini. «Se Beyoncé lavorasse da Burger King potrebbe comunque sposare Jay-Z. Ma se Jay-Z lavorasse da Burger King?». Abbastanza divertente e abbastanza prevedibile, almeno nel senso che si tratta di ciò che il suo pubblico ha (sempre) pagato per sentire. Al ché veniamo alla chiusura, finalmente, ovvero ciò su cui è stato costruito l’intero processo creativo dello spettacolo. Otto clamorosi minuti in cui il comico inizia ricordando ai presenti ciò che già sanno sullo schiaffo per poi dichiarare con non poca retorica: «Perché non ho reagito? Perché ho dei genitori e sono stato educato». Che genio del male, Chris Rock.

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