Galline in fuga 2: tra frecciatine e passi falsi

 
 

Sono passati ventitré anni dal capolavoro Galline in fuga (2000). Quasi un quarto di secolo prima che Aardman Animation decidesse di mettersi nuovamente al lavoro su quelli che probabilmente restano i loro personaggi più amati e popolari. Eppure, al termine della visione di questo pigrissimo sequel, la domanda sorge spontanea: a chi dobbiamo attribuire le intenzioni produttive del film? La casa di animazione britannica recentemente sta infatti concentrando le forze per tornare a dedicarsi a progetti non originali (questo sequel, quello di Shaun, vita da pecora – Il film, il prossimo film dedicato alla coppia di Wallace & Gromit), eppure dall’altra parte non sembra un caso che il primo lungometraggio prodotto in collaborazione con Netflix vada proprio ad attingere dall’immaginario più ricco dello studio.

In ogni caso, quale che sia la risposta al quesito, è indubbio che Galline in fuga – L’alba dei nugget sia un film problematico prima ancora che un sequel lontanissimo dalle vette dell’originale. Ciò che emerge chiaramente è proprio una certa tendenza da prodotto medio targato Netflix: non si tratta di un progetto concentrato a creare consenso, ma un lavoro che prova a inseguirlo, questo consenso. Riciclando i personaggi che hanno bucato lo schermo a inizio millennio (villain incluso), il film prova timidamente a concepire un paio di intuizioni interessanti, ma si lascia fagocitare dalla grande produzione della N rossa proprio come le galline accecate dal divertimento omologato e indotto dal collare che le attanaglia all’interno della nuova prigione in cui sono finite.

La coerenza narrativa con il capitolo originale è la chiave più curiosa di questo lavoro: là si scappava da un campo di prigionia, qui si cerca di fare irruzione in uno di massima sicurezza che apparentemente sembra un paradiso terrestre. La Aardman prova a sfidare la grande distribuzione ironizzando sulla minaccia dell’algoritmo, della produzione seriale e dell’ingannevole divertimento di massa contemporaneo. Tutte caratteristiche facilmente riconducibili al grande colosso dello streaming grazie a cui è possibile visionare il film. Eppure, alla fine della corsa, sono nettamente maggiori i compromessi e i passi falsi compiuti invece delle frecciatine e dei sassolini tolti.

Tutto è prevedibile, già ampiamente dibattuto e raccontato (la severa premura dei genitori, la ribellione adolescenziale delle nuove generazioni, il passato glorioso accantonato in nome di uno stile di vita più umile e pavido dal quale si cerca di trovare riscatto…). Restano solo la tenerezza e la malinconica gioia di tornare a fare i conti con personaggi indimenticabili e che tutto sommato è appagante ritrovare. Ma si tratta più di ragioni dettate dai capricci del cuore dopo un’attesa sostanziale, che di oggettivi meriti derivati da una qualità artistica degna della casa di produzione alla base del progetto. Con Aardman siamo stati sempre abituati ad altri livelli, ma non per questo perderemo la fiducia nel futuro del loro percorso: conosciamo bene i nostri polli.

Simone Soranna

Simone Soranna, classe 1991, laureato in Lettere moderne. È caporedattore del portale LongTake.it, scrive per la rivista Cineforum, lavora come corrispondente dai maggiori festival internazionali (Cannes, Venezia, Berlino) per Fred Film Radio e ha collaborato come anchorman per SkyCinema.

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