I Soprano: la serie HBO che ha cambiato la storia della narrazione televisiva

 
 

Il 10 gennaio 1999 ha segnato il passaggio fondamentale nell’operazione di rinnovamento e rivitalizzazione del film di mafia in tv: HBO mandava in onda il primo degli 86 episodi della serie I Soprano, creata da David Chase e durata fino al 2007, per un totale di 6 stagioni.

Collettore di generi diversi e affresco in cui si ritrovano impressionanti spaccati antropologici sull’asse New York – Newark, l’universo dei Soprano vive di una struttura narrativa complessa e articolata in cui il realismo sposa una congerie di temi e motivi che intarsiano l’epica criminale di dramma, melodramma, satira pungente e una sperimentazione visiva molto ricercata e senza precedenti nel genere di riferimento. In un’ “America-moloch” squassata dalla schizofrenica bramosia di figli legittimi e figli adottivi che intendono colonizzare un grande e ancora incompiuto romanzo (italo) americano, l’indiscusso eroe è Tony, le cui vicende sono raccontate seguendo il cronotopo bachtiniano: sono infatti gli ambienti e la cultura materiale di un intero spazio cittadino a divenire le prime evidenze dello svolgersi del tempo storico. 

Procedendo “due o tre gradi al di là della realtà”, come si proponeva di fare in ogni sua opera Scorsese, David Chase, con una visione programmatica e di stampo mimetico, concepisce in un sistema chiuso l’ordine razionale della rappresentazione urbana e il disordine psicotico che abita personaggi complessi e problematici: in questo modo gli eventi plasmano ogni personaggio, mentre la storia del continente si storicizza nella potenza evocativa di ogni singola inquadratura, coagulandosi nella sontuosa rappresentazione di una coscienza collettiva che anela a venire alla luce attraverso una geografia dell’anima, tra North Caldwell, luogo natio di Tony e dello stesso showrunner della serie, Newark, ville e fatiscenti periferie industriali. 

I Soprano è divenuta rapidamente una serie cult, più nel resto del mondo che in Italia, ed è stata definita dagli studiosi come uno dei più maestosi prodotti della cultura popolare americana dell’ultima parte di secolo. I motivi sono molteplici e non possono prescindere dalla sua complessità tematica che innesta infinite variazioni sul tema per ogni puntata, finendo per divenire, come lo era stato in forme diverse nell’affermarsi della New Hollywood, espressione, cifra stilistica e racconto della complessità delle società localizzate. Il grande romanzo italoamericano, in cui un capofamiglia inquieto e nevrotico si barcamena tra affari di famiglia, cosche newyorchesi e la Camorra oltreoceano, vive di istantanee di vita quotidiana e conflitti generazionali, ramificato in complesse trame shakespeariane che lentamente avvolgono gli spettatori senza lasciare loro scampo. Spartiacque tra una nuova visione televisiva del mondo e delle identità locali (espressione verace e spesso iperbolica di slang e dialetti compositi) e canto del cigno della postmodernità, lo psicodramma criminale è un ecosistema complesso in cui si animano le citazioni e brulicano le analisi etnologiche, su uno sfondo da crime-movie che fonde la commedia iperbolica al dramma finemente ricercato.  

I Soprano rinnova profondamente il gangster-movie dall’interno, plasmandolo su una narrazione stratificata, rock ‘n’ roll alla maniera di Thomas Pynchon, il cui riverbero letterario si nota negli accenti grotteschi e cupi, nella caratterizzazione di personaggi sopra le righe, nevrotici e borderline, nella descrizione di spazi familiari che si aprono immediatamente allo straniamento immaginativo: lo studio della dottoressa Melfi in cui si “confessa” il boss Tony Soprano (indimenticabile James Gandolfini), il confessionale in cui si sfoga la moglie Carmela, la macelleria-covo Satriale, lo strip club Bada Bing!, gli antri oscuri nelle villette di mattoni, le stanze vuote nei vivaci luoghi postindustriali dell’area suburbana newyorchese; tutti posti reali che in men che non si dica possono divenire lo scenario di uno dei tanti incubi-visione di Tony, il cui tormento è portato a galla da 86 episodi e tantissime sedute psicanalitiche dalla psichiatra Melfi.

Pesci che parlano, vecchi amici che ritornano in vita con gli abiti ancora insozzati di sangue, non sono che simulacri di un rimosso che il capofamiglia fatica a rielaborare, perso com’è nel vortice dei propri mandamenti nella contea di Essex. Se lo spazio esterno plasma i personaggi diventando struttura portante dell’opera, è l’entropia che governa, da dentro, il mondo malavitoso: ogni trasformazione fa aumentare il disordine, per questo motivo il patriarca e boss Tony vive di squilibri emotivi e riconciliazioni impossibili, sia con il proprio sangue (il suo motto è “staying within the family”) che con se stesso.

Tony Soprano, maschera tragicomica e funambolo emotivo, eredita la tradizione “atrabiliare” dell’uomo malinconico del Medioevo, il suo pianeta è Saturno e nella sua orbita gravitano sogni cupi, isteria e bipolarismo: un boss che ha rifiutato, freudianamente, la presa di coscienza dell’assenza del pene nella madre, donna castrante e famelica. Tutto, nella serie tv, è sopra le righe, iperbolico e saturo di elementi che si confondono in un magma narrativo ribollente; i pochi momenti di stasi sono controbilanciati da dialoghi corrosivi e da un’incredibile e voyeuristica esibizione di nudità sentimentali e fisiche.

Per avere un inquadramento più analitico del mitologema dei Soprano, si consiglia di vedere su Netflix I Molti Santi del New Jersey, origin story di Dickie Moltisanti, padre di Christopher, amato nipote di Tony. In una sequenza significativa, un giovane Tony chiede al venerato zio Dickie che armeggia nel garage per nascondere il sangue paterno appena versato: “Posso guardarti?”.

Tony diventerà un leader del crimine grazie alla sua curiosità cognitiva, al suo spirito di osservazione e all’innata capacità di leggere la realtà attraverso gli occhi di un predatore che mappa il territorio, lo marchia e poi, quando necessario, lo inonda di sangue. 

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