Parole e sangue - Terrorismo di genere

 

Messo in onda in seconda serata in tre puntate consecutive dal 16 al 18 settembre 1982 su Rai1 dopo un lento e difficoltoso percorso produttivo e di programmazione, Parole e sangue (1982) può essere riscoperto su YouTube in un momento in cui la discussione sulla rappresentazione filmica e televisiva del terrorismo e il dibattito politico sull’istituzione carceraria, anche in relazione ad atti terroristici, stanno acquisendo nuova visibilità e rilevanza. Tuttavia, l’interesse per questa prima opera televisiva osteggiata di Damiani, di due anni precedente il successo internazionale de La Piovra, va ben oltre il “reperto archeologico” da riscoprire. Operando un vero e proprio terrorismo di genere, Damiani sovverte le regole contenutistiche e formali del poliziesco televisivo, incentrando il punto di vista non sul poliziotto e sulla sua ricerca di verità, come aveva già fatto in uno dei suoi film precedenti sul terrorismo nero, Io ho paura (1977), bensì sul terrorista. Inoltre, nel saldare efficacemente forma e contenuto, la regia adotta lunghi piani sequenza assai poco televisivi e insiste sulla riflessività della finzione, mettendo in scena costantemente l’idea stessa di performance, solco nel quale si sviluppa anche tutta la narrazione in quanto metafora di un avvenimento storico e, allo stesso tempo, rappresentazione dell’impossibilità di giungere alla verità su quello stesso avvenimento. 

Dopo gli anni dell’università, Rico (Matteo Corvino) lavora in una libreria e partecipa ai movimenti di lotta politica e sociale degli anni 70. Trovatosi casualmente sulla scena dell’arresto di Tarantino, un terrorista rosso da tempo ricercato, viene scambiato per un esponente di spicco dell’eversione di sinistra. Scarcerato grazie anche all’intervento del magistrato Marcucci (Paolo Bonacelli), suo ex docente universitario, Rico ne progetta e realizza con successo il rapimento, decidendo di interpretare il ruolo che gli è stato dato. Ma con quali conseguenze?

In una nazione ancora scossa dal destino di Aldo Moro, era impossibile non identificare Marcucci con il Presidente della DC. Nonostante Damiani abbia sostenuto di non aver voluto fare un film sul terrorismo, il “film in tre puntate” (secondo la definizione dei titoli di testa) invita esplicitamente questa lettura. La prudenza del regista che, nelle note di revisione indicava esplicitamente di voler datare la storia “PRIMA del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro” per non “snaturare il carattere di ‘velleitarismo’ che … contraddistingue” la vicenda, si è chiaramente stemperata durante le riprese. Ci sono evidenti somiglianze logistiche e storiche, come la prigione ricavata nel covo dei brigatisti e l’emergere di un livello occulto para-statale e militare (il centro di coordinamento B); inoltre, la libreria di Rico abbonda in libri sul terrorismo italiano: nei tre su Moro spicca L’affaire Moro di Leonardo Sciascia, scrittore da cui Damiani aveva tratto Il giorno della civetta.

Nell’atto di terrorismo contro il genere operato da Damiani, l’indagine non è tanto quella della polizia per ritrovare Marcucci – lo scarso interesse istituzionale per il ritrovamento è un’ulteriore analogia con il caso Moro – quanto quella, per citare il sociologo canadese Erving Goffman, sulla dialettica tra “ribalta” e “retroscena” nei comportamenti di Rico, ma anche in quelli dello Stato, rappresentato dalla polizia e, talvolta suo malgrado, dallo stesso Marcucci. Spesso inseriti in cornici dentro la stessa inquadratura (finestre, lo spioncino della cella di Marcucci), i personaggi si muovono in un ambiente che rimanda alla stessa finzione cinematografica (e teatrale, per citare ancora Goffman). Significativamente, il finale ritorno di Rico al grigiore della libreria è segnato dalla battitura sulla macchina da scrivere che continua sui titoli di coda, oltre la diegesi cinematografica in senso stretto: la verità è tutta da scrivere.

Indietro
Indietro

Lamborghini - Sintesi di una leggenda

Avanti
Avanti

Sesso per amore - Una mamma di mondo