Robbie Williams: ascesa e caduta del bad boy dei Take That

 
 

In un 2023 ricco di docu-serie dedicate alle star del mondo dello spettacolo, spicca, tra tutte, sia a livello realizzativo che contenutistico quella dedicata a Robbie Williams. Robbie Williams ha iniziato molto presto la sua carriera facendo parte dei Take That, la pop band simbolo degli anni ’90, e per questo gran parte della sua vita artistica e personale è stata filmata. L’espediente è quello di mostrare alla star e allo spettatore i filmati d’archivio e cercare di capire l’evoluzione artistica ma soprattutto personale e psicologica di Williams. Quest’ultimo non è mai stato in grado di accettare e gestire la fama che ha acquisito perdendo subito il controllo e iniziando con l’abuso di stupefacenti. Questo aspetto viene sì sottolineato nella serie ma è solo un passaggio perché appare chiaro fin dai primi momenti che Robbie Williams parli di depressione, ansia e ansia sociale. Il percorso, lo si sottolinea più volte, è quasi terapeutico. 

In maniera molto intelligente ci ritroviamo a percorrere gli eccessi e i periodi altalenanti della vita della star, che hanno come contraltare la tranquilla vita domestica attuale. Robbie Williams ha trovato la sua tranquillità attraverso la famiglia e una sorta di ritiro privato da cui esce di rado e solo per brevi periodi. Appare chiaro che lo scopo è quello di creare più livelli: da una parte creare un “Robbie” persona reale molto diversa dal personaggio Robbie Williams, dall’altra anche una separazione tra il sé del passato e quello del presente. Williams guarda con distacco, a volte anche con imbarazzo al suo passato, raccontando momenti insospettabili di disagio e dolore culminati con le doppie date al Roundhay Park di Leeds, l’8 e 9 settembre 2006, con 90.000 spettatori e la trasmissione in diretta su Sky nel mezzo di un attacco di panico che fa pensare all’artista di boicottare la seconda data. Da quel momento, complice anche il fallimento dell’album successivo Rudebox, Robbie Williams inizia a ritirarsi dalle scene. Qui subentra una seconda tematica che è legata all’incapacità di gestire i rapporti con le persone. La fine del rapporto con i Take That ne è un esempio, ed è proprio ricucendo il legame con la vecchia band che Robbie Williams vince in parte l’ansia che gli impedisce di fare i concerti. Così si chiude, come in un cerchio, il documentario, tornando a concentrarsi sul presente, in cui il cantante è circondato e amato dalla sua famiglia. Con le sue eccentricità e stravaganze, quello che emerge è sicuramente il ritratto di una persona che è stata in grado di venire a patti con sé stesso e con le proprie debolezze. Il messaggio è chiaro, la docu-serie vuole presentarsi come percorso psicologico con uno scopo catartico. Infatti solo arrivando al periodo più buio Robbie Williams può capire meglio e apprezzare anche il sé stesso del presente.

Robbie Williams è una docu-serie particolarmente interessante che si distacca molto da altri titoli autorefenziali e celebrativi che si vedono di solito sulle piattaforme. La star sembra voler presentare un’immagine più intima e reale, seppur sicuramente costruita, di sé. Robbie Williams vuole mostrarsi calmo e maturo, lontano dall’immagine del bad guy che riempiva i tabloid con i suoi eccessi. In questo la serie riesce benissimo e alla fine si arriva ad empatizzare con una star che, per una volta, sembra essere almeno emotivamente più vicina a noi comuni mortali.

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