The Mandalorian 3: una chiusura semi-definitiva

 
 

Collocata cronologicamente cinque anni dopo le vicende de Il ritorno dello Jedi (1983) e venticinque anni prima di quelle de Il risveglio della Forza (2015), la terza stagione di The Mandalorian, disponibile su DIsney+, si è sviluppata in otto episodi, arrivando a una sorta di conclusione ideale degli eventi che hanno accompagnato il mandaloriano Din Djarin (Pedro Pascal) e il trovatello Grogu. 

Se quest’ultimo nella prima stagione andava salvato, per poi essere riportato da qualcuno dei suoi simili (seconda stagione) e venendo successivamente riaccolto da un paio di braccia paterne dopo una scelta difficile (The Book of Boba Fett, di fatto uno spin-off di The Mandalorian), questa quarta parte mette il freno a mano alle spericolate e variegatissime avventure che precedentemente i due si trovavano ad affrontare, più o meno loro malgrado. Insieme, affrontano una sfida più grande: la riunificazione dei clan mandaloriani dispersi per la galassia, arrivando alla genesi della ricostruzione di Mandalore, reso inaccessibile dall’esecuzione dell’Ordine 66. Una stagione, quindi, più dedita ad una storyline orizzontale che alla presenza di più linee verticali che costituivano il punto di forza delle stagioni precedenti.

La storia leggendaria di Mandalore e del suo Credo viene rimarcata maggiormente, a partire dalla redenzione di Din Djarin fino al riscatto di Bo-Katan Kryze (Katee Sackhoff). C’è poco spazio per le missioni autoconclusive, gli episodi leggeri e i siparietti comici. Perfino Grogu, visto inizialmente come una sorta di mascotte e in seguito maturo fautore del proprio destino, viene quasi accantonato, guadagnandosi meno screen-time di quanto meriterebbe. Un’intera stagione basata sull’indagine sulle origini mitologiche, la morte e la rinascita di Mandalore, nonché sul senso dell’onore dell’essere un mandaloriano ha quindi dei punti di forza molto saldi, ma anche delle proprie debolezze e incongruenze.   

Verso il finire della stagione viene il dubbio, o almeno ci si pone l’interrogativo, se il titolo “Il mandaloriano” abbia sempre avuto come riferimento il cacciatore di taglie Din Djarin e quindi la sua dedizione assoluta al Credo, come si diceva, o il passaggio di Grogu da Padawan ad apprendista mandaloriano del suo padre adottivo. È un riferimento alla cultura e all’etnoreligione dell’essere mandaloriani che abbiamo imparato a conoscere meglio in queste stagioni? È sempre stata solo Bo-Katan? Quel che è certo è che l’unione di tutte queste soluzioni portano alla vittoria tanto bramata, preambolo di una faticosa operazione di ricostruzione di un intero popolo.

La terza stagione di The Mandalorian, sebbene presenti una chiusura semi-definitiva, è stata in grado di reggersi da sola, senza particolari colpi di scena o soluzioni di fan service volti ad ottenere un senso di stupore per accontentare il già complesso fandom dell’universo di Star Wars. Come ha d’altronde dichiarato Jon Favreau, il livello di affezione verso The Mandalorian è tale da scegliere di non abbozzare, per ora, un finale affrettato e definitivo per il futuro prossimo. Tutte le ipotesi per una quarta stagione e altri prodotti rimangono aperti, pronte ad essere delineate verso una “via” ulteriore.

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