Tim Burton: Life In The Line
Presentato in occasione del Festival di Tribeca, Tim Burton: Life in the Line è quella docuserie che nei suoi quattro episodi da un’ora ciascuno, argomenta, incuriosisce e rende partecipi i tanti aficionados che vogliono sempre e in ogni momento adagiarsi nell’universo del macabro-melanconico “burtoniano”. La serie, diretta da Tara Wood che ha già all’attivo come regista e produttrice il documentario del 2019 sul lavoro di Quentin Tarantino QT8 - Quentin Tarantino the first eight (disponibile su Amazon Prime Video), è un lungo excursus sui temi maggiori del cinema e dell’arte di Tim Burton, un ottimo compendio ai neofiti che si avvicinano al fiabesco mondo dark del regista ma anche un luogo di ritrovo sicuro per chi, come me, ha amato e continua amare Burton dai principi degli anni Novanta. Nella serie gli spettatori possono ritrovare praticamente ogni cosa per entrare e ritornare attraversando gli occhi di Edward, di Jack Skellington, di Mercoledì Addams, di Ed Wood, di Beetlejuice, di Frankeenweenie e del Batman di Keaton; il materiale d’archivio è tanto e la caratteristica che ho trovato più di valore sono in particolare le lunghe interviste rilasciate da chi segue, lavora e ama Tim da una vita e non solo: Johnny Depp, Helena Bonham Carter, Danny Elfman (che firma anche la title track della sigla animata del documentario), lo scenografo Rick Heinrichs, la storica costumista Colleen Atwood, Jenna Ortega e tantissimi altri che, appunto danno in pasto agli spettatori ricchi bocconcini della loro visione diretta, e non solo del lavoro sul set, su quanto Tim Burton sia un artista incredibile e unico (anche per le loro carriere), affrontando in ogni episodio un tema specifico della visione del regista-artista a cui lo stesso Burton fa ritorno nelle sue opere disegnate, filmate, animate, come il rapporto con l’insolito e con i mostri, il suo ritrarre e sentirsi outsider, il modo di raccontare le sue fiabe dark, la solitudine nel sentirsi distaccato dalla società vigente, l’amore per il cinema del passato dei B-Movies e dei suoi mentori come Vincent Price, Christopher Lee o Bela Lugosi, oltre ai racconti sulla produzione dei vari film. E tutto questo, sembra dirci Tara Wood e che pare confermare Helena Bonham Carter nel finale parte tutto da una linea su una pagina, è l’ancora di salvezza di Tim Burton da questo mondo sembrerebbe raccontarci, e pertanto la sua è una storia di piena libertà artistica ed è quindi nel titolo azzeccatissimo Life in the Line è racchiusa l’essenza delle storie e dell’arte burtoniana a cui in tanti si sentono rappresentati e innamorati, attraverso i suoi mostri e i suoi segni incerti, abbozzati, sketchati in primis sulla carta. Nella docuserie vediamo spesso Tim Burton, lo scorgiamo nelle immagini di repertorio fra passato e presente mentre dirige, disegna, consiglia, crea ma purtroppo non ha rilasciato alcuna intervista per questo progetto a differenza dei suoi collaboratori e amici di lunga data, ma è coerente anche in questo: è la sua arte a parlare e a raccontarci di lui e della sua visione.
Tim Burton: Life in the Line è disponibile in sola lingua inglese non sulle piattaforme di streaming on demand solite ma su un sito internet realizzato apposta per la serie, www.timburtonlifeintheline.com e fornisce noleggio, acquisto degli episodi, anche in una versione premium con ulteriore materiale aggiuntivo. Per i burtoniani di lunghissima data come me sono tante ore di visione impossibile da perdere, nonostante non apra ulteriori spiragli di indagine su Tim Burton così come già altro materiale critico abbia fatto in passato ma la docuserie è allo stesso tempo un buon punto di partenza di scoperta e riscoperta di un’identità artistica pressoché unica e che continua dopo più di quarant’anni seppur con esiti differenti a plasmare e ad influenzare la cultura visuale di oggi.