Cerrar los ojos – L’ultimo triste sguardo sul cinema e sull’esistenza
Con all’attivo solamente quattro lungometraggi e mezzo (Los desafíos è realizzato da più autori) in cinquant’anni di attività registica, Víctor Erice resta un autore essenziale, al contempo criptico e semplice nell’indagare il mistero dell’esistenza attraverso l’arte, quale illusione e riflesso della realtà fenomenica. Il suo sguardo sul mondo e sulle cose, cerca di sondare i buchi e le lacune del tempo e della memoria, attraverso cui far emergere un’(im)possibile coesione tra opera d’arte e vita. È infatti un vuoto temporale durato più di trent’anni che separa il suo documentario drammatizzato Il sole della mela cotogna (premio della giuria a Cannes nel 1992) da Cerrar los ojos, presentato in anteprima a Cannes nel 2023 ed ora disponibile su Raiplay nella sezione Fuori orario. Cose (mai) viste.
Se nell’opera precedente, che mescolava documentario d’arte, cinema del reale e autofiction, Erice rifletteva sul rapporto fra tempo e creazione artistica, in quest’ultima cerca di legare la memoria lacunosa e sfuggente al ritrovamento di un reperto filmico e del suo interprete, quale compimento di un’intera esistenza e del processo creativo.
Ne Il sole della mela cotogna, vediamo il grande pittore realista Antonio López García, intento a dare delle lievi pennellate sulle foglie, sui rami e sui frutti della pianta che sta ritraendo, quasi a voler fondere la natura stessa con il proprio artificio pittorico. Come Zeusi (secondo la leggenda) dipingeva sulla tela i chicchi d’uva in maniera talmente realistica da attirare gli uccelli, Erice sullo schermo cerca utopisticamente di restituire il compromesso tra la mendacità finzionale dell’opera e lo scorrere del tempo e dell’esistenza.
Cerrar los ojos è un film ambizioso e disperato, un’opera che vorrebbe abbracciare proustianamente l’intero arco di una vita e di un processo artistico, attraverso il meta-film che apre e chiude la storia, mentre nel mezzo si muove una febbrile ricerca del significato dell’esistenza umana e della sua caducità. Un regista si mette sulle tracce di un attore scomparso vent’anni prima dal suo set e mai più ritrovato, da qui prende il via un viaggio nella memoria che mescola presente e passato, storia individuale e storia dell’audiovisivo.
Erice si sdoppia specchiandosi nel rapporto dicotomico che lega regista e interprete, creando un’inchiesta di stampo wellesiano in cui la parola-chiave Triste-le-roy (di borgesiana memoria) riveste la stessa funzione del Rosebud di Kane. Una sorta di Quarto potere che naufraga tra i marosi lirici di un tardo Angelopoulos, con potenti vibrazioni filosofiche deoliveiriane, Cerrar los ojos (ovvero chiudi gli occhi) è un film sulla consapevole stanchezza dello sguardo artistico, in un mondo in cui la pellicola è ormai un mero oggetto museale e la liquidità dell’informazione audiovisuale passa senza restare.
Resta solamente un’ultima proiezione pellicolare, in cui al suo termine fantasmi dello schermo e spettatori posso all’unisono chiudere finalmente gli occhi.
Come in un Andrej Rublëv rovesciato, l’autore scompare insieme all’opera stessa.