Diversità e inclusività nelle serie TV: alcune considerazioni

 
 

Diversità e inclusività. Due parole al centro del dibattito pubblico contemporaneo, che finiscono inevitabilmente per toccare anche l’industria dell’intrattenimento. Di recente la società di raccolta dati Luminate ha pubblicato il nuovo “Entertainment Diversity Progress Report”, che raccoglie i dati dell’ultimo anno relativi alla diversità (in termini di etnia, genere, etc.) all’interno della produzione audiovisiva negli Stati Uniti, in termini sia di rappresentazione sia di personalità coinvolte. Un recente articolo della neonata versione italiana dell’Hollywood Reporter fa una sintesi dei risultati pubblicati da Luminate.

Innanzitutto emerge che sempre di più le rappresentazioni inclusive hanno a che fare con l’intersezionalità, ovvero l’idea che l’identità di un individuo sia definita dalla compresenza di diversi fattori, tra i quali l’etnia, l’identità di genere, l’orientamento sessuale, eccetera. Quindi non solo personaggi queer o appartenenti a una determinata minoranza etnica, ma figure il cui background ha a che fare con una molteplicità di caratteri.

Si sottolinea poi quello che è il ruolo decisivo svolto dalle piattaforme streaming nel portare negli Stati Uniti narrazioni non americane. Nelle library degli OTT si ha un aumento considerevole di film e serie con personaggi latinoamericani, nordafricani e mediorientali. Il problema, però, è che queste stesse etnie finiscono per essere relegate esclusivamente all’interno di contenuti non in lingua inglese, non trovando spazio sufficiente anche nelle produzioni statunitensi. Per quanto riguarda le rappresentazioni di genere, invece, si nota una generale continuità tra il 2021 e il 2022, seppur con un calo per quanto riguarda i protagonisti LGBT+.

È importante domandarsi come si pongono in tutto questo le serie TV, non solo perché rappresentano il prodotto privilegiato dello streaming, ma anche perché la serialità televisiva ha mostrato negli ultimi anni una notevole attenzione alla diversità.

Se oggi le library degli OTT sono più eterogenee è merito anche del successo, ben superiore alle aspettative, di Squid Game (Netflix, 2021 – ), che ha portato ad un’esplosione di serie asiatiche su Netflix. C’è da dire che la produzione audiovisiva asiatica gode da tempo di un nutrito seguito di appassionati, con iniziative di promozione internazionale come il Far East Film Festival di Udine, ma certamente negli ultimi anni questo interesse si è allargato ad un pubblico più ampio, non esclusivamente cinefilo. Sono titoli che spesso, essendo prodotti all’interno dei territori che raccontano, mettono in scena con cura le peculiarità socioculturali delle società del continente asiatico. Al contrario, una delle accuse rivolte di frequente a Hollywood è proprio quella di infarcire i propri prodotti di stereotipi e pregiudizi nei confronti delle minoranze che racconta.

Esempi di rappresentazioni dell’alterità più genuine sono riscontrabili nella recente serialità italiana e soprattutto, come nota Sara Casoli in un saggio sull’argomento, nella serialità crime, genere che tende a dialogare molto con la realtà socioculturale del momento. Rispetto ad una caratterizzazione superficiale e molto spesso stereotipata del poliziesco all’italiana degli anni Novanta, si nota oggi una trattazione più complessa di personaggi stranieri nelle serie italiane. Anche qui abbiamo casi di intersezionalità, come dimostra il personaggio di Spadino in Suburra (Netflix, 2017 – 2021), personaggio di etnia sinti nonché omosessuale, o addirittura esempi in cui lo straniero, in questo caso immigrato ivoriano, è il protagonista della serie, come in Nero a metà (Rai 1, 2018 – ). È un cambiamento significativo rispetto alla tradizione cinematografica e televisiva italiana che tendeva a relegare i personaggi stranieri a portatori di tutti quei valori (in gran parte negativi) a cui si opponevano i protagonisti.

Un tema rilevante è quello della disabilità, difficile da tracciare, in quanto numerose forme di disabilità non sono immediatamente visibili dall’esterno. Alcune problematiche hanno a che fare anche con la difficoltà di coinvolgere attori affetti da disabilità all’interno di produzioni complesse e impegnative come quelle cinematografiche e televisive. La serialità ha dato spesso visibilità a questi temi, si pensi al personaggio di Beckie Jackson, affetto da sindrome di Down, in Glee (Fox, 2009 – 2015), o al personaggio di Elisabeth Doppler, sordomuta, in Dark (Netflix, 2017 – 2020). Si potrebbero citare moltissimi altri casi di personaggi con disabilità che, come nei due esempi appena fatti, si muovono sullo sfondo delle vicende. Non mancano anche esempi in cui i personaggi in questione sono i soggetti attorno a cui ruota l’intera serie, come The Good Doctor (Abc, 2017 – ) o Special (Netflix, 2019 – 2021). Nel primo caso ci troviamo difronte ad un protagonista affetto da autismo, nel secondo ad una serie in cui la disabilità del personaggio coincide con quella del suo interprete: Special è stata scritta e interpretata da Ryan O’Connel, giovane attore affetto da una lieve paralisi cerebrale che per la creazione della serie si è ispirato alla propria autobiografia.

In Italia possiamo ricordare il recente Blanca (Rai 1, 2021 – ), che vede per protagonista una donna cieca: per realizzare la serie sono state richieste le consulenze di persone non vedenti, tra le quali Andrea Bocelli. Come abbiamo già raccontato più approfonditamente in un altro articolo, anche per quanto riguarda le rappresentazioni queer l’Italia sembra allineata alle produzioni internazionali, le quali stanno puntando moltissimo su storie costruite intorno ai temi LGBT+. Molte produzioni teen come Euphoria (HBO, 2019 – ), Heartstopper (Netflix, 2022–) o il franchise Skam mettono al centro tematiche di genere sotto differenti punti di vista, riscontrando un buon apprezzamento soprattutto da parte di un pubblico giovane che si riconosce nei valori proposti da questi titoli.

In generale è evidente che il panorama rispetto ad alcuni anni fa si sia fatto più inclusivo. Una critica ricorrente ha a che fare con il timore che l’attenzione verso queste pratiche possa frenare la creatività di registi e sceneggiatori. Il dibattito è ancora aperto.

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