Scrubs sta per tornare e con lui un pezzo di noi
C’è un momento, nella vita di chi è nato nei primi anni Ottanta, in cui smetti di ridere e inizi a pensare. Poi ricominci a ridere, ma in un altro modo. È quel passaggio lì che Scrubs ha saputo raccontare meglio di chiunque altro. Non era solo una sitcom, non era solo una medical comedy, non era nemmeno solo una serie generazionale: era la serie che ci ha insegnato a prendere la vita sul serio, ma non troppo. E ora, quella serie sta per tornare. Con un reboot ordinato ufficialmente da ABC, con Zach Braff, Donald Faison e Sarah Chalke di nuovo nei panni di JD, Turk ed Elliot. E con una promessa difficile da ignorare: riportare in vita il Sacred Heart, non solo come ospedale, ma come luogo dell’anima.
Avevo vent’anni quando Scrubs arrivò in Italia nel 2003, su MTV, in seconda serata, come quelle cose belle che trovi per caso e che poi non molli più. Non fu mai un fenomeno di massa da noi, ma per chi la intercettò nel momento giusto diventò una serie di formazione. Una specie di guida emotiva per attraversare gli anni venti tra sogni ad occhi aperti, insicurezze croniche e amicizie salvavita. Ma chi c’era, se lo ricorda. Le puntate registrate su VHS, le risate a notte fonda, la voce fuori campo di JD che accompagnava sogni e insicurezze. Era un racconto di formazione travestito da sitcom, un’epifania generazionale per chi si sentiva troppo strano per E.R. e troppo fragile per Grey’s Anatomy. Scrubs parlava a quelli che ridevano delle proprie goffaggini, ma intanto cercavano un senso. Anche piccolo, anche stupido, anche solo per oggi. Per quelli che si sentivano fuori posto ma trovavano una casa in un corridoio di ospedale dove l’Impiastro spuntava da ogni angolo. Per quelli che non avevano voglia di essere adulti, ma non potevano farne a meno.
Prima di BoJack Horseman, prima di Ted Lasso, prima di ogni comedy che provasse a mescolare trauma e risata, c’era JD che ballava nei sogni a occhi aperti e poi si fermava davanti alla morte. E noi, con lui.
Per questo il ritorno di Scrubs, oggi, è più di una nostalgia: è quasi un bisogno. Perché nel frattempo siamo diventati grandi, e abbiamo capito quanto sia difficile non perdere il cuore per strada. Il reboot promette di mescolare personaggi storici e nuove leve, humour e maturità, leggerezza e consapevolezza. Ma soprattutto promette di farlo restando fedele a quello spirito unico: quello che ti fa ridere di una gag assurda e due minuti dopo ti lascia in silenzio, con la gola stretta.
Il mondo è cambiato. La medicina è cambiata, la TV è cambiata. Noi siamo cambiati. Ma quel bisogno di essere rassicurati da un abbraccio buffo, da un’amicizia incrollabile, da un monologo interiore che ci somiglia, è ancora lì. È nei padri che siamo diventati, nelle madri che abbiamo conosciuto, nei sogni che abbiamo messo in pausa ma che magari, chissà, sono ancora là fuori a ballare come JD in corridoio.
Se questo reboot sarà all’altezza, non lo sappiamo. I rischi sono tanti, le aspettative pure. Ma una cosa è certa: Scrubs ha lasciato un segno profondo. E se anche solo per una stagione tornerà a parlarci con la stessa voce – divertente, irriverente, tenera e onesta – allora ne sarà valsa la pena.
Io sarò lì, con la birra in mano, il cuore aperto e il sorriso già pronto. E lo so: alla prima scena con JD e Turk che si abbracciano al grido di “EAGLE!”, mi verrà da piangere. Ma sarò felice.