Il cliffhanger all’ epoca del binge watching

 

Il cliffhanger è uno dei meccanismi fondamentali della narrazione seriale. Introdotto all’interno dei serial americani degli anni Dieci, figlio della tradizione del last minute rescue del cinema di Griffith, questo dispositivo ha avuto maggior fortuna nell’ambito della serialità statunitense rispetto a quella europea, seppur negli ultimi decenni, segnati dalla commistione di generi e influenze, le cose siano cambiate. 

Con cliffhanger si intende la brusca conclusione di una puntata in un momento di alta tensione, generalmente una situazione di pericolo per i protagonisti, che lascia quindi gli spettatori in uno stato di allerta e curiosità per gli sviluppi della vicenda. Tradizionalmente il cliffhanger si risolveva all’inizio della puntata successiva e aveva, come si può immaginare, lo scopo di catturare l’attenzione dello spettatore, spingerlo a tornare al cinema o a sintonizzarsi a una certa ora su un certo canale per seguire la risoluzione del racconto. Per questo motivo il meccanismo del cliffhanger necessita del gap tra una puntata e l’altra, quell’intervallo in cui la fruizione della serie è sospesa ma dove l’attività intellettuale degli spettatori non si interrompe, anzi, si concentra nell’elaborare gli possibili sviluppi della trama. È quindi una pratica che acquisisce senso nel momento in cui la distribuzione della serie è scandita nel tempo, in cui gli intervalli narrativi tra una puntata e l’altra fanno parte dell’esperienza seriale.

Ci troviamo però oggi in un momento storico in cui le cose sono cambiate. Netflix, sin dai suoi primi titoli originali (House of Cards e Orange is the New Black) ha introdotto la pratica di distribuzione delle serie nella loro interezza: siamo abituati ormai a trovare tutti gli episodi di una serie disponibili in blocco in una volta sola. Questo metodo distributivo è parte della logica promozionale di Netflix, che punta alla personalizzazione del consumo, a costruire il profilo di un utente libero di operare le proprie scelte di fruizione (anywhere e anytime). Si è sviluppata negli ultimi anni una vera e propria cultura del binge watching, l’abbuffata di episodi, ovvero la visione in breve tempo di tutte le puntate di una serie

Nonostante sia evidente che la distribuzione di tipo tradizionale non è assolutamente sparita – tanti operatori OTT tendono a rendere disponibili gli episodi delle loro serie con cadenza settimanale – ci si può chiedere come si sia evoluto il cliffhanger in un panorama mediale come questo, in cui spesso e volentieri la curiosità per lo sviluppo di una situazione può essere soddisfatta passando alla puntata successiva senza attendere più di qualche secondo.

La serialità contemporanea, con la sua complessità narrativa e la sua iperdiegesi, è frequentemente caratterizzata da una punteggiatura intraepisodica, ovvero una narrazione dilatata che alterna vari punti di vista e varie situazioni e interrompe così ogni sottotrama per poi spostarsi alla successiva generalmente nei momenti climatici. Se quindi l’interruzione tra una puntata e l’altra è resa impossibile dall’accesso immediato a tutte le puntate, si arriva a rimediare a questa condizione situando l’interruzione all’interno della puntata stessa. Non si può parlare di un vero e proprio cliffhanger interno, semmai del tentativo di ricreare quel senso di rottura narrativa che cattura l’attenzione dell’utente. 

Bisogna considerare inoltre che con l’evoluzione della serialità è mutato anche il peso narrativo del cliffhanger. Se originariamente la situazione lasciata aperta dal finale sospeso veniva risolta all’inizio della puntata successiva, oggi le cose sono diverse. Lost (ABC) è stata la serie che ha rotto definitivamente con questa tradizione, rinviando la risoluzione del cliffhanger addirittura di due o più episodi. Oggi il cliffhanger non si chiude più all’inizio della puntata successiva, ma spesso e volentieri apre situazioni che arrivano a risolversi addirittura dopo intere stagioni

È stato rilevato da studiosi e critici come l’apertura narrativa caratteristica della serialità contemporanea, che ha fatto sì che si superasse la convenzionale suddivisione tra narrazione verticale e orizzontale, abbia comportato una ridefinizione di quella che è l’unità strutturale della serie, che forse oggi non è più la singola puntata, bensì l’intera stagione. Serie come Breaking Bad  o Stranger Things presentano narrazioni così fortemente intrecciate che il singolo episodio non possiede un’autonomia in sé, ma è la stagione intera a chiudere un arco narrativo e ad acquisire un senso compiuto. Di conseguenza ad assumere maggiore importanza è il cliffhanger stagionale, quello che chiude una stagione e rimanda la sua risoluzione alla stagione successiva. Ovviamente, però, non si può dire che il cliffhanger episodico abbia perso completamente la sua importanza. I finali sospesi servono a fare da legante tra una puntata e l’altra e, non secondariamente, servono a catturare l’interesse degli utenti e a diminuire così il tasso di abbandono di una serie.

In sintesi, il cliffhanger si è adeguato alla crescente complessità delle serie televisive, arrivando a configurarsi non come una semplice interruzione narrativa, ma come un vero e proprio motore di racconto.

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