A Man on the Inside 2: mistero e relazioni al college

A Man on the Inside sembrava una di quelle serie destinate ad avere una stagione perfetta e poi ad accartocciarsi su se stessa nel tentativo di inseguire una scintilla ormai lontana. Nata da un pretesto tanto assurdo per quanto perfetto, un documentario cileno su un pensionato vedovo reinventatosi detective sotto copertura in una casa di riposo, la serie firmata da Michael Schur può indubbiamente contare su un protagonista magnetico, capace di trascinare la narrazione in modo simile al Benoit Blanc della trilogia di Knives Out, ma ora è il tempo di un test per verificarne la sua longevità sul lungo periodo e soprattutto la sua adattabilità in altri contesti.

Per la sua seconda stagione su Netflix, A Man on the Inside abbandona (parzialmente) della casa di riposo Pacific View per trasferirsi al Wheeler college, dove Charles Nieuwendyk (Ted Danson), dopo essersi dilettato nelle normali mansioni di un detective privato quali inseguire mariti fedifraghi, trova finalmente un caso degno di lui. Il miliardario Brad Vinick (Gary Cole) ha promesso una donazione di 400 milioni di dollari alla scuola, ma qualcuno ha rubato il portatile del dirigente Jack Berenger (Max Greenfield), intimandolo di non accettare nemmeno un centesimo. 

Tutti i professori e gli assistenti sono dei potenziali sospettati e l’unico modo per indagare sul loro conto è una talpa, una persona che guadagni la loro fiducia e che li faccia sentire liberi di poter parlare. Così Charles si finge un professore di architettura e si butta a capofitto in una nuova missione piena di personaggi che definire pittoreschi sarebbe riduttivo.

Se il mistero passa in secondo piano, è per lasciare spazio anche all’amore - in una storyline che ricorda le scorrazzate romantiche con possibili sospettate di Charles-Haden Savage in Only Murders in the Builiding -, perché il protagonista incontra l’insegnante di musica Mona Margadoff (Mary Steenburgen, che oltretutto è la vera moglie di Ted Danson), uno spirito libero pronto a contagiarlo con la sua vitalità. 

In questa stagione, forse ancora più che nella precedente, A Man on the Inside dimostra come il suo vero interesse, nascosto in un cavallo di Troia chiamato Kovalenko Investigations, siano le relazioni umane e nello specifico la costruzione di famiglie alternative, allargate, sgangherate, come quella che mostra il quinto episodio Thanksgiving break, che, come anticipa il titolo, prende una pausa dal Wheeler College per mettere in scena un pranzo del Ringraziamento che riscrive la rabbia che contraddistingue quello di The Bear per sostituirla con amore e voglia di superare i possibili ostacoli tutti insieme.

Iniziano però ad emergere anche i limiti dell’esile struttura di A Man on the Inside: la serie non potrà aggrapparsi in eterno al suo protagonista e a questa positività senza confini o regole, che fu la fortuna ma anche la prigione di Ted Lasso in precedenza. Il forzato mantenimento di una continuità con la precedente stagione può diventare una zavorra narrativa a lungo termine, ma soprattutto A Man on the Inside deve dimostrarsi capace, senza un canovaccio di partenza come il documentario originale, di creare un intreccio più equilibrato, che non si basi solo sulla dolce forza dei personaggi, portando in scena un mistero più strutturato e non da risolvere frettolosamente.

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