Scoop: scandalo a Buckingham Palace

 
 

Nel 2019 il principe Andrew rilasciò una celebre e disastrosa intervista alla BBC, in cui cercava di difendersi dalle accuse di essere legato agli scandali sessuali di Jeffrey Epstein, imprenditore arrestato e condannato per abusi sessuali e traffico internazionale di minorenni. Tale vicenda, che si abbatté come uno tsunami su Buckingham Palace, in Italia è poco nota rispetto a storie di simile portata, ecco allora che Netflix confeziona un film (uscito il 5 aprile scorso sulla piattaforma streaming) che cerca da un lato di offrirsi come prodotto divulgativo e dall’altro di farsi bignamino di come si costruisce un film d’inchiesta oggi.

Scoop (titolo breve, ficcante, che arriva dritto al punto), partendo dal fatto di cronaca dell’affaire “principe Andrew vs BBC”, collegato allo scandalo Epstein, imbastisce un racconto didascalico su come funziona oggi il giornalismo, sulla costruzione di una notizia e su come un’inchiesta possa essere trasformata in un autentico show televisivo. La fotografia patinata e una certa estetica glamour (con particolare attenzione al décor e agli outfits, specialmente quelli femminili), banalizzano il portato di un genere che in tempi recenti ha regalato un solido prodotto come Il caso Spotlight, e in cui la tensione narrativa, affidata al dialogo, diventa pura verbosità.

Scoop è sostanzialmente un film d’attrici, un woman’s film (come si sarebbe detto nella Hollywood classica) che mette in bella mostra una tripletta di attrici come Billie Piper, Keeley Hawes e Gillian Anderson (che fa la parte della leonessa, specialmente nella seconda parte, imponendosi con il volto truccatissimo ad ogni inquadratura). Operazione di taglio femminista in linea con l’attuale tema del patriarcato 2.0, in cui le tre protagoniste combattono con ogni mezzo giornalistico la sordida ipocrisia del principe Andrew, interpretato da un Rufus Sewell ad un passo dalla caricatura, tutto tic, ammiccamenti e chili di make-up. 

Lo squallore e la tossicità del patriarcato bianco vengono rappresentati attraverso una serie di invenzioni di regia decisamente scontate, come la collezione di peluches che il principe Andrew sistema con ordine ossessivo sul proprio letto e ancora il membro della casa reale inquadrato di spalle, nudo e inerme davanti alle accuse a lui mosse tramite social, mentre riascolta la tragica intervista tenuta alla BBC.

Diretto da Philip Martin, regista britannico di thriller oleografici (ha diretto anche alcuni episodi della serie The Crown), Scoop è un prodotto che guarda solamente all’urgenza di puntare i riflettori sulla tematica in questione e al contempo di renderla appetibile ad un pubblico da piattaforma (non educato al cinema da grande schermo), con qualche battuta ironica e una lettura forzatamente fashion dei personaggi femminili. Forse modelli di riferimento come Tutti gli uomini del presidente e Diritto di cronaca oggi possono apparire inattuali, ma se quello di Martin può sembrare l’unico modo per raccontare una certa attualità cronachistica, di certo non è un buon cinema.

Indietro
Indietro

Fallout: la fine del mondo diventa franchise

Avanti
Avanti

The Regime: scellerata e grottesca confusione