Spaceman: psicanalisi e filosofia tra creature aliene

 
 

“Tell my wife I love her very much, she knows.” Diceva Major Tom alla base Terra prima che si perdessero i contatti, nella bellissima Space Oddity di David Bowie, e proprio quel bisogno di dire alla propria moglie che la si ama è una delle esigenze del protagonista di Spaceman di Johan Renck, film Netflix presentato in anteprima alla Berlinale 2024 e poco dopo approdato sulla piattaforma.

Jakub (Adam Sandler) è un astrofisico ceco, partito per una pericolosa missione nello spazio, oltre Giove, alla scoperta di Chopra, una nube misteriosa che di notte illumina il cielo di viola. Sei mesi di solitudine in una navicella mettono a dura prova la resistenza di Jakub che non riesce più a comunicare con la moglie Lenka (Carey Mulligan) e che si ritrova a condividere il suo spazio vitale con una creatura aliena dalle sembianze di ragno che lo aiuterà a riflettere sui propri errori.

Jakub e Lenka vivono due solitudini affini, seppur lontanissime che spingono la coppia a due reazioni differenti: lei, incinta vuole chiudere e cerca di farlo con un video che i colleghi e superiori dell’astronauta non gli invieranno mai, lui, invece, pensa solo alla moglie, rendendosi conto di quanto vicina e realistica sia la possibilità di perderla. A dar supporto allo spaurito, allucinato e distrutto Jakub, è l’alieno, una creatura con la voce di Paul Dano, che proviene dall’origine del cosmo e che parla per massime filosofiche: uno psicanalista peloso senza mezze misure che con la sua pacata analisi non usa mezzi termini per mettere “l’umano pelle e ossa” davanti alla verità. E’ un ripercorrere, un riflettere, un rintracciare nella memoria ciò che si era e che si desiderava, proprio mentre tutto sta cambiando, mentre la scoperta e l’impresa del secolo stanno prendendo forma, garantendo un primato assoluto alla Repubblica Ceca. Dovere e sentimento si contrappongono mentre la stanchezza disidrata e annebbia la mente, abbassa le difese e esibisce le fragilità di ogni essere vivente.

Non c’è nulla di spettacolare nella fantascienza di Renck che punta sull’emotività e sulla psicologia, provando a sovvertire i cardini del genere, partendo dalla rappresentazione di un astronauta che assomiglia al più ordinario e inetto degli uomini, lontanissimo dall’egocentrismo e dalla ricerca del successo. Una suggestione iniziale che avrebbe potuto risultare interessante se non si sviluppasse attraverso episodi paradossali, quasi nonsense,  che cancellano ogni parvenza di credibilità da un’operazione che risulta comica e allucinata, azzardata senza sapersi assumere alcun rischio. Spaceman gioca a carte scoperte, è ciò che sembra, seppur costellato di buoni sentimenti e di tentativi di riportare la trama verso l’azione eroica che solo in conclusione si accinge a palesarsi, seppur sempre compressa tra imbeccate sentimentali e piccole vittorie personali che nulla hanno a che vedere con la conquista e la scoperta dell’ignoto.

C’è chi da Berlino l’ha definito lo scult dell’anno, chi lo ha semplicemente ignorato, chi ha sparato senza mezzi termini, eppure Jakub e la stranezza del suo viaggio spaziale per tornare dalla moglie che ama e che non vuole perdere suscitano una bonaria simpatia nonostante la totale inadeguatezza, forse per la delicatezza di Adam Sandler che ormai si è votato al dramma, forse per l’assurdità delle dinamiche narrative, forse perché gli animali pelosi hanno il loro fascino. Spaceman è senza dubbio un titolo trascurabile del listino Netflix, ma potrebbe essere la svolta per chi con la fantascienza non ci azzecca per niente.

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