Cassandro: la (ri)vincita degli exotico

 
 

Il wrestling era e rimane - nell’immaginario collettivo e superficiale - il tempio del machismo: lotta corpo a corpo, sedie infrante sulle schiene degli avversari, alter ego tanto teatrali quanto spietati. E poco importa che si tratti di finzione, l’importante è dare al pubblico ciò che vuole: uno spettacolo in cui vige la legge del più forte. Cassandro ci catapulta nel Messico degli anni ’90, e più precisamente nel circuito dilettantistico della lucha libre: un mondo in cui la legge del più forte non sembra sorridere mai ai lottatori exotico. Si tratta della comunità di lottatori che si esibiscono in tenuta drag, cercando con fatica di portare la rappresentazione queer all’interno di uno sport che in Messico è prima di tutto storia e tradizione. Saùl è un wrestler dilettante di El Paso che arrotonda lo stipendio battendosi – e perdendo ogni volta – in uno squallido circuito con il nome di “El topo”. Stanco di vedersi sopraffare dai wrestler più amati dal pubblico e di dover nascondere la sua omosessualità, si rivolge all’allenatrice e wrestler Sabrina. È proprio la donna a convincerlo ad esibirsi come exotico ribellandosi alle regole del gioco: Saùl non lotterà più solo per lo spettacolo, ma anche per vincerlo. “El topo” lascia così il posto a Cassandro.

Per tutto il film, l’emancipazione di Saùl si muove su due binari: quello della sua vita privata, segnata dal suo amore corrisposto per un uomo sposato, e quello del suo alter ego Cassandro, la cui carriera è segnata dalle tante vittorie che gli sono sempre state negate nella vita di tutti i giorni. Proprio in virtù di questa esplorazione intima del personaggio e del suo profondo rapporto con la madre, Cassandro esce dai paradigmi tipici dei più tradizionali sport movie e predilige i silenzi e la quotidianità al frastuono e la concitazione dall’atto sportivo in sé (comunque ben presente nella pellicola). Questa sua peculiarità è sottolineata anche da una fotografia più ricercata e originale che si allontana dall’estetica “blockbuster” tipica dei prodotti Amazon original. Anche le scelte di regia sottolineano un approccio diverso alle dinamiche scene di lotta presenti all’interno del film: si prediligono lunghi piani sequenza in cui la lucha libre diventa una vera e propria danza, accuratamente coreografata in modo da far vincere chiunque riesca a ingraziarsi il favore del pubblico. 

Il ritmo lento a cui il film abitua il pubblico e il grande focus sulla sfera privata di Saùl, rischiano però di non rispecchiare a pieno il potere della rivoluzione che l’uomo mise in atto dentro al ring. Una rivoluzione fatta anche di tutine leopardate e di gesti vezzosi indirizzati agli avversari, ma anzitutto possibile grazie ad un coraggio senza precedenti e ad un talento capace di frenare le malelingue. Diventa così facile cadere nel rischio di banalizzare l’impatto culturale di Cassandro, specialmente quando l’unico antagonista nella storia appare essere sé stesso, insieme al fantasma di quel padre così vicino ma inevitabilmente lontano, essendo Saùl figlio illegittimo nato da una relazione extramatrimoniale. Ciò affievolisce anche l’impatto emotivo del finale, togliendo allo spettatore l’immancabile tensione solitamente costruita negli sport movie nel momento dell’ultimo match. 

La relazione di gran lunga più forte all’interno della storia è quella tra Saùl e la madre: un rapporto tanto sincero quanto potente in cui le paure di una madre protettiva nei confronti dell’unico, amatissimo figlio vengono abbattute dallo stesso, incontro dopo incontro. L’amore impossibile vissuto con l’amante Gerardo aleggia su Saùl come un costante promemoria di cosa significhi essere omosessuale nella periferia di una città ancora sommersa dal pregiudizio. E, seppur non ci sia successo sul ring che possa immediatamente legittimare la sua forma d’amore, Saùl sa che quello è solo uno dei tanti match che si appresta ad affrontare, e a vincere. 

Cassandro ci insegna a non stare alle regole di un gioco che ci vede perdenti sin dal primo round e a combattere per guadagnarci il nostro spazio tanto nel ring, quanto nel mondo. E a farlo con lo stile di chi si batte rigorosamente in tutine brillantinate e trucco drag. 

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