Cortina Express – Sotto la neve della nostalgia
Il film si apre in soggettiva, che scopriamo immediatamente essere quella di un cane intento a guardare in Tv un documentario sui cervi, a quel punto un carrello all’indietro ci mostra il resto della stanza e si ferma su un tavolo da gioco presieduto da Christian De Sica e scatta subito il parallelismo con papà Vittorio nel famoso episodio I giocatori de L’oro di Napoli.
Ecco che è bene chiederci cosa stiamo guardando, perché l’operazione di Eros Puglielli può trarre in inganno, venendo superficialmente letta come una rivisitazione nostalgica del cinepanettone anni Ottanta, omaggiato fin dai titoli di testa con le classiche acrobazie sciistiche sulla neve, mentre a tappeto risuona Heart Of Glass dei Blondie e pare di essere tornati ai tempi delle libidini coi fiocchi e delle celesti nostalgie. In realtà Cortina Express è un prodotto assai ben più articolato, che dialoga con un genere ormai impossibile da riesumare e per questa ragione se da un lato ne fa un’elegia, dall’altro ne omaggia l’aura popolare che per circa trent’anni ha richiamato l’attenzione (nel bene e nel male) di pubblico e critica.
Il cinepanettone è il genere nazional-popolare di largo consumo che ha spesso dominato il box office italiano delle feste, per poi morire, risorgere sotto altre spoglie e infine scomparire (quasi) definitivamente. Le epoche cambiano, le mode e le tendenze pure e quasi due anni fa, Roman Polanski poneva la pietra tombale sul filone, con il velenosissimo, sublime e purtroppo incompreso The Palace, kammerspiel degli equivoci che radiografava i prodromi di quel modello sociale e cinematografico distruggendolo dall’interno.
Eros Puglielli, regista in grado di attraversare i generi attualizzandoli (suo il bel thriller Occhi di cristallo), con Cortina Express gioca sui bordi del genere, ripetendo la cialtroneria di molti personaggi vanziniani, partendo proprio dallo spiantato e truffaldino Lucio De Roberti (un De Sica in grande spolvero) fino alla milf veneta di Veronica Logan, che non può non richiamare alla mente la Marilù Tolo del Vacanze di Natale del 1983. Ma Puglielli va oltre, dribblando la volgarità scatologica di Parenti et similia, rispolverando quell' estetica innevata e post-edonista alla Oldoini e contaminandola con la pochade sofisticata di Blake Edwards (per la precisione La Pantera Rosa del 1963, guarda caso girato proprio a Cortina).
Ma dopo The Palace il cinepanettone non potrà più esistere nella sua forma originaria, difatti la creatura di Puglielli porta dentro di sé qualche residuo freak della farsa funebre di Polanski, come il mafioso russo di Paolo Calabresi e il marito rimbambito di Isabella Ferrari (Marco Marzocca mimetico e irresistibile). Tra nuovi mostri e neo-cafoni che si muovono in una cornice in cui il lusso diventa una regola di vita, la classe media non esiste (quasi) più, mentre Lillo recupera una dimensione del corpo e della parola (insieme a De Sica) che risulta impermeabile a qualsiasi catastrofe contemporanea, in primis quella economico -finanziaria oltre che a quella politica (anche Puglielli come Polanski gioca con il fuoco del regime sovietico).
Un ibrido riuscito per misura e senso del ritmo, che trasforma l'edonismo (di prima) e lo svacco da salotto televisivo (di poi) in lotta di classe, dove la risata da riflesso pavloviano (quale era diventata negli ultimi anni) torna a ricoprire la sua funzione sociale.