Elio: C’era una volta la Pixar

C’era una volta, alla metà degli anni Novanta, uno studio di animazione americano la cui creatività e la cui innovazione ha ispirato migliaia di artisti, e ha cambiato non solo la storia dell’animazione, ma lo stesso modo di fare cinema. Quello studio è la Pixar, che con il suo Toy Story – Il Mondo dei Giocattoli (Disney+, 1995) realizza il primo film interamente in CGI della storia del cinema. Questo è solo il primo dei numerosi traguardi e successi che lo studio ha incontrato nel corso dei decenni; da qualche anno, tuttavia, la Pixar ha incontrato una serie di passi falsi e di flop, culminati con l’insuccesso della loro ultima opera Elio (Adrian Molina, Domee Shi e Madeline Sharafian, 2025), recentemente approdata su Disney+ dopo esser stato il peggiore incasso della storia dello studio – 72 milioni di dollari a fronte di un budget di 150. Come mai quest’ultimo lavoro di casa Pixar ha incontrato questa indifferenza di pubblico? E soprattutto, che cosa vuol dire per il futuro dello studio?

Al centro di questa pellicola troviamo Elio, un ragazzino di undici anni che, a seguito della tragica scomparsa dei genitori, vuole a tutti i costi farsi rapire dagli alieni in quanto non si sente più adeguato al mondo degli esseri umani. Quando viene in effetti rapito, si troverà a difendere una realtà intergalattica a rischio fingendosi il “leader della Terra”, mentre sua zia (doppiata in originale da Zoë Saldaña, in Italia da Alessandra Mastronardi) cercherà a tutti i costi di riportare il suo amato nipotino a casa.

Quella di Elio è una produzione assai particolare per l’animazione contemporanea, fosse anche solo perché è uno degli ormai rari tentativi di una major dell’animazione di investire su una storia completamente originale senza volontà di costruirci su franchise multimediali. Paradossalmente è ciò che rende ancora più amara la storia produttiva di Elio, fatta di cambi di regia improvvisi, censure a contenuti queer e pesanti riscritture che hanno reso la pellicola ciò che noi oggi vediamo. Il risultato di questa travagliatissima produzione, infatti, è un film senza grande immaginazione o forza innovatrice, un’opera che riassume il minimo comune denominatore di tutte le storie della Pixar senza guizzi o intuizioni che permettano al film di emergere. Si arriva quasi dire che Elio rappresenta uno stereotipo di un film Pixar, quello che tutti gli altri studi d’animazione hanno cercato di imitare negli anni senza particolare successo: una considerazione, ahimè, molto triste da fare nei confronti di uno studio che ha fatto della creatività la sua bandiera. 

Inutile lesinare sulla tecnica d’animazione – sempre eccellente, persino nel tentativo di mantenere un’identità propria rispetto alla tendenza sempre più dilagante all’animazione ibrida à la Spiderverse – di fronte ad una pellicolache, anche a causa di grandi problemi di produzione, si presenta come un prodotto di certo non al livello dello standard Pixar. Il vero elemento dolceamaro di Elio – visto che un film sbagliato può capitare a chiunque – è segnato dalle ripercussioni inevitabili che ci saranno a seguito del flop economico, che potrebbe costringere la Pixar a intraprendere strade meno creative e più volte al profitto (già si vede all’orizzonte un quinto capitolo della saga che ha iniziato tutto, quella di Toy Story). Un destino alquanto grigio per una delle realtà più creative e riconosciute del cinema contemporaneo.

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