FolleMente – La strategia d’amore (e di genere)
“Non mi piace quando diventi fluido, diffuso e multi-gender…”
“Aggiungi poliamoroso!”
In questo scambio di battute, tra i primi che l’ultima regia di Paolo Genovese, FolleMente (disponibile su Disney+), ci propone, è possibile riassumere il senso e i limiti dell’intera operazione che il film cerca di portare avanti.
La pellicola, che eredita dal precedente campione d’incassi Perfetti Sconosciuti l’impostazione da commedia da camera, racconta del primo appuntamento tra Pietro (Edoardo Leo) e Lara (Pilar Fogliati), visto non solo dall’esterno ma anche dall’interno… delle loro menti. Queste sono infatti abitate da quattro personaggi ciascuno: abbiamo il raziocinio (Marco Giallini per lui, Claudia Pandolfi per lei), la sensibilità (Maurizio Lastrico e Vittoria Puccini), l’intelletto (Rocco Papaleo e Maria Chiara Giannetta) e infine l’erotismo (Claudio Santamaria ed Emanuela Fanelli). La tavola attorno al quale si consuma l’appuntamento diventa il territorio di una vera e propria battaglia, fatta di sfide e strategie messe in atto per non rivelare le proprie fragilità e per raggiungere il proprio obiettivo: non essere più soli. In quest’ottica, più che a Inside Out (Disney +) – spesso citato come supposta fonte plagiata dal regista romano -, FolleMente richiama alla mente quel filone di commedie italiane in cui domina la guerra dei sessi, si veda ad esempio l’esemplificativo Maschi Contro Femmine (Netflix); filone in cui si presenta, all’interno della sceneggiatura, la stereotipia dei costrutti di genere.
FolleMente da questo elemento strutturale non si discosta: la supposta molteplicità di voci interiori dei protagonisti (“contengo moltitudini” diceva qualcuno) di fatto manifesta e si traduce in una narrazione fatta di stereotipi narrativi oltre che di genere. E non bastano timidi accenni alla presenza di sensibilità maschili e di voracità sessuali femminili per superarli: assieme a riferimenti colti – Carla Lonzi su tutti – e a lessico più aggiornato rispetto alla dimensione sessuale e di genere – poliamore, mansplaing, battute su preservativi, sui bro e le lesbiche radicali -, rappresentano i timidi tentativi di elevare (o dare l’impressione di) un prodotto che, di fatto, si adegua agli standard ciseteronormati borghesi in merito a relazioni e sesso.
Chi scrive sa, evidentemente, che questo film non vuole essere un trattato di gender di Butler o di Preciado. Chi scrive, inoltre, riconosce dei meriti tecnici ad una pellicola, comunque, tutto sommato godibile anche per qualche guizzo presente qua e là – molto buono il montaggio, molto meno buona la fotografia. Ma, al tempo stesso, chi scrive è anche ben consapevole che, per far funzionare questo tipo di pellicole, devono funzionare essenzialmente due elementi: il cast attoriale e lo script. E se il primo a conti fatti se la cava discretamente – con una menzione d’onore ai tempi comici cristallini di Emanuela Fanelli, in una delle sue migliori prove -, il secondo invece non è mai in grado veramente di decollare, adagiandosi per buona parte su battute abbastanza stanche (con qualche punta di inglesismo per arrivare alla Gen Z) e su gag facili.
A differenza di quello che il film sostiene, Italo Calvino non ha mai detto: “leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto”. Ma se anche prendessimo per valido questo aforisma, allora potremmo dire che FolleMente è una commedia che non riesce a planare, ma che piuttosto si adagia in una rassicurante comodità e superficialità borghese.