L’identità in frantumi: adolescenza, famiglia e memoria nella serialità contemporanea

L'identità in frantumi: adolescenza, famiglia e memoria nella serialità contemporanea

C’è stato un tempo in cui bastava un molo, qualche riflessione sussurrata all’alba e un gruppo di ventenni che cercavano di sembrare sedicenni per raccontare l’adolescenza in TV. Quel tempo si chiamava Dawson’s Creek, una serie tanto amata quanto bistrattata, che tra dialoghi da psico-dramma e recitazioni degne della finta fiction Gli occhi del cuore di Boris, riusciva comunque a toccare qualcosa di autentico: il patetico, spietato, talvolta ridicolo rito di passaggio verso l’età adulta.

Ma il modo di raccontare gli adolescenti in tv non è rimasto fermo lì. Negli anni, dai romanticismi malinconici di Skins e My So-Called Life, siamo arrivati a un racconto più frammentato e inquieto, dove la memoria personale e familiare non è più sfondo ma mina vagante. Prendiamo Adolescence, serie uscita troppo in fretta dal radar del dibattito: lì non si parlava solo di chi siamo, ma di ciò che ci sovrasta. Il passato non era un ricordo da abbracciare, ma un peso da gestire.
E il bello (e il doloroso) stava proprio nel non detto — negli sguardi, nei silenzi, nelle pause che dicevano più di cento battute.

Oggi, in titoli come Euphoria, I Am Not Okay With This, We Are Who We Are e Sex Education (specie nella quarta stagione), la crescita personale diventa racconto della crisi collettiva. I genitori sono figure opache, smarrite in un presente che non sanno più decifrare; i figli abitano spazi sempre più fluidi, dove genere, orientamento sessuale, persino memoria e tempo si scompongono e si ricompongono di continuo. La famiglia, un tempo pilastro, diventa crepa; la memoria non è più rifugio, ma ferita aperta.

Come raccontano anche le analisi più attente su Streamofilia, il corpo stesso delle serie ha assorbito questo smarrimento: montaggi sincopati, linee temporali spezzate, voci narranti inaffidabili. Non esiste più lo spettatore onnisciente; esiste chi cerca di orientarsi in un labirinto emotivo senza bussola. In Euphoria, l’estetica esasperata non è un vezzo, ma lo specchio di un mondo interno in perenne tempesta.

Il punto forse più interessante riguarda però la rappresentazione della famiglia e delle sue crepe. Se un tempo il coming of age era una battaglia contro il mondo esterno, oggi è soprattutto una lotta con le proprie radici. E non possiamo ignorare Questo mondo non mi renderà cattivo di Zerocalcare, che con il suo stile inconfondibile mette a nudo il disagio generazionale, il senso di sconfitta e la difficoltà di fare pace con il proprio passato.

In mezzo a tutto questo, Adolescence rimane una pietra di paragone sottovalutata. C’è un’urgenza, oggi, nel modo in cui la serialità affronta questi temi. Un’urgenza che forse ci interpella anche come spettatori. Perché, in fondo, queste serie non ci offrono solo uno sguardo sull’adolescenza, ma ci obbligano a fare i conti con la nostra: con le fratture che ci portiamo dietro, con le memorie che ci formano e ci deformano. Per capire dove stiamo andando, forse bisogna partire proprio da lì: da quei frammenti, da quelle crepe, da quelle identità in frantumi. 

Non per aggiustarle, ma per imparare a guardarle senza paura.

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