Tre Rivelazioni di Yeon Sang-ho tra cliché e noia
Tre rivelazioni è un poliziesco diretto da Yeon Sang-ho e disponibile su Netflix. Sembra proprio che la creatività del regista sudcoreano soffra della collaborazione con la piattaforma e infatti dopo il modesto Psychokinesis e il banale Jung_E arriva un film banale e noioso. Il racconto parte dall’incontro tra un pastore cristiano e un pregiudicato, pedinato a sua volta da una poliziotta, parente di una delle sue vittime. Il rapimento di una bambina getta la comunità nel caos, e porta i tre personaggi chiave a intersecare le proprie traiettorie, ciascuno guidato dai rispettivi fantasmi. 3 protagonisti, 3 ossessioni, 3 ore di durata percepita. A stroncare sul nascere tutta l’opera è una scrittura prevedibile, disordinata e confusa, infarcita di soluzioni squallide. La più triste è certo l’abuso di allucinazioni da j-horror becero, nel tentativo di far convergere poliziesco e horror. La mistura non lega ed entrambi i generi ne escono claudicanti. Il predicatore vede Gesù e gli partono i deliri di onnipotenza, il pregiudicato vede i mostri e gli parte il matto, la poliziotta vede il fantasma di sua sorella e le parte… di fare il suo lavoro. Dimmi la tua diagnosi e ti dirò chi sei. Questi non sono personaggi, non hanno personalità né scopi all’infuori della loro patologia, e se bastasse così poco gli studi di piscopatologia sarebbero manuali di scrittura. Neppure la trama poliziesca ingrana, perché non c’è alcuna indagine all’infuori del vessare un tizio con dei precedenti senza avere uno straccio di indizio. Gli unici colpi di scena si hanno rendendosi conto che l’intreccio è più scontato del previsto, facendo soffrire ulteriormente il minutaggio. A conti fatti si tratta di 3 storielle scontate senza alcuna profondità, accatastate flebilmente per due ore. Se non hai niente da dire conviene star zitto, sostiene il proverbio, e Tre rivelazioni è un ottimo esempio di come si possa elencare una marea di temi senza dire nulla di nessuno. Non tratta di malattie mentali, non tratta di lutto, non tratta di istituzioni religiose (nonostante l’autore sia il medesimo dell’ottimo The Fake). In genere poi, quando proprio si vuole trovare qualcosa da salvare in un prodotto mediocre, si dice che è bella la fotografia, qui fa il suo onesto lavoro e nulla più, è buia. La morale della storia è prendersela a caso coi pregiudicati e sperare di avere i parenti giusti nel posto giusto, consigliato a chi vuole occupare un paio d’ore come se fossero il doppio ma non agli insonni, perché gli estratti di valeriana costano meno dell’abbonamento a Netflix.