La Vita Secondo Jim - Tra satira e tradizione

 

Dopo I Robinson, la tradizione del self made man americano all’interno del palcoscenico della sitcom tradizionale, è affidata alla figura cialtronesca di Jim Belushi, mattatore unico ne La Vita secondo Jim, in onda dal 2001 al 2009 per un totale di 8 stagioni.

Certamente sono state tante le famiglie del piccolo schermo dopo quella Robinson, ma la piccola rivoluzione unpolitically correct operata ne La Vita secondo Jim a inizio millennio, ha regalato ai piccoli schermi un cittadino americano medio attorno al quale ruotano le storie ancillari di donne ridotte a cliché e comprimari da operetta, proprio secondo lo schema tradizionale, ma con una deriva cartoonesca figlia della più grande rivoluzione di Matt Groening. Jim è la caricatura del filosofo di strada, inondato di birra e cosparso di luoghi comuni, illuminato come gli altri personaggi da una fotografia calda e familiare (tonalità più accesa del giallo di Homer Simpson, del quale è degno epigono), portavoce di ottimismo e valori conservatori.  

Ne La Vita secondo Jim le massime del pater familias sorreggono l’impalcatura narrativa di ogni episodio (circa venti minuti a puntata), sciorinate seguendo uno schema fisso e la sua percezione fallocentrica della vita è divenuta un’ermeneutica dell’otium. Jim non sa di non sapere, anzi, è convinto che all’uomo basti una poltrona, un’armonica a bocca e un campionario “intellettuale” scelto (pubblicità di intimo femminile, dvd porno-action, reliquie dei Bears) per potersi definire virile e per questo la sua ricerca di un senso nella patriottica vita a stelle e strisce diventa il manifesto di una working class cialtronesca; nessuna irreprensibile etica del lavoro, come invece è sempre stato per Homer Simpson o per Cliff Robinson, solo una superficialità ideologica che sfocia nell’istinto primordiale votato a un antagonismo che non risparmia neanche i suoi figli piccoli. 

La Vita secondo Jim si regge su un totem maschiocentrico, motore unico di una coazione a ripetere basata su una struttura immediata: situazione iniziale, rottura dell’equilibrio, escamotage dell’eroe per la risoluzione della controversia, ristabilimento dell’equilibrio iniziale. All’apparenza, il monolito Jim sembrerebbe mettere in ombra tutti gli altri, invece la caratterizzazione della moglie (misura apollinea e apoteosi del “trobar clus” per l’umile marito) del cognato Andy (dionisiaco borderline) e di sua sorella Dana (perfida competitor del fratello e del cognato) definisce i tratti specifici di una critica sociale appena abbozzata ma vincente, che sfiora solamente i temi dell’omosessualità e si concentra di più sul sarcasmo macabro, sullo sberleffo della patologia e della salute mentale, sulla crisi borghese e matrimoniale. Pur reggendosi sulle gustose gag slapstick e sul cabaret goliardico della coppia Belushi-Larry Joe Campbell (Andy), la vera novità all’interno del panorama seriale è rappresentata proprio dall’introduzione, all’interno di un format ormai rodato, di toni caustici, spesso al limite della decenza e della più sfrenata scatologia da bar di provincia.

La Vita secondo Jim si concede poche sortite in esterni, ma quando i personaggi escono dal covo dell’Homo Erectus disegnano le migliori parabole comiche: basti pensare all’episodio in cui Jim e Andy si danno battaglia in strada alla conquista di un barbecue, all’incontro tra Jim e il suo vecchio amico Dan Michalsky (Dan Aykroyd) nelle vesti di un vigile che lo ferma a un posto di blocco o al duello in singolar tenzone tra Jim e un tacchino per ristabilire la territorialità perduta.

La sitcom creata da Tracy Newman e Jonathan Stark rappresenta l’ultimo tassello del racconto della famiglia regolare sul piccolo schermo, prima dell’esplosione di serie come Transparent o Modern Family in cui il nucleo familiare si apre alla diversità di genere. Gli elementi satirici presenti ne La Vita secondo Jim non sovvertono l’ideologia tradizionalista, creano interstizi comici servendosi spesso di citazioni da film o icone del passato, per rafforzare gli accenti più demenziali delle faide familiari, spesso ridotte però a un mero gioco tra consorti dispettosi. In una puntata avvelenata viene infatti citata La Guerra dei Roses, ma a Jim basta il suo grido di battaglia “Ho vinto, ho vinto, ho vinto”, con tanto di pugni battuti sul petto e danza celebrativa, senza sentire il bisogno di lanciare piatti o altri arnesi contundenti com’era avvezza a fare la coppia Turner-Douglas. Quelli, molto spesso, li riceve il cognato Andy da Jim dopo l’ennesima sfuriata.   

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