Nonnas: la ricetta del ricordo, servita tiepida

Quando pensiamo alla cucina italiana, la mente corre subito ai piatti della nostra tradizione: nazionale, regionale, locale. Ricette sopravvissute al tempo, adattate ma riconoscibili, tramandate con gesti che restano uguali da generazioni. Eppure, raramente riflettiamo su una variante affascinante: quella della nostra cucina rifatta all’estero, nei contesti dell’emigrazione, dove quei gesti vengono conservati esattamente com’erano, come in un tempo sospeso. È lì che si cristallizza un’identità: nel gesto che non si aggiorna, ma resiste.

Nonnas, film distribuito da Netflix e diretto da Stephen Chbosky, parte proprio da qui. Da un’idea semplice ma ricca di implicazioni affettive e culturali: il cibo come collante tra passato e presente, tra l’Italia lasciata e quella ricordata. Il film racconta la storia (vera) di Joe Scaravella, italo-americano di Brooklyn che, alla morte della madre Maria, decide di aprire un ristorante a Staten Island dove, in cucina, ci siano solo vere nonne. Donne anziane, con storie diverse ma unite da una qualità rara: la capacità di riportarti a casa con un solo piatto. Il ristorante si chiama Enoteca Maria – esiste davvero – e nella realtà coinvolge oggi nonne da tutto il mondo. 

Stephen Chbosky costruisce un racconto tutto all’insegna della leggerezza: Nonnas è un film che vuole rassicurare, far sorridere con tenerezza, scaldare. La narrazione è lineare, quasi “pedagogica”, e non cerca mai di complicarsi la vita. Dall’inizio alla fine, si resta nei binari del feel-good movie pensato per funzionare su vasta scala. Il protagonista, interpretato da un Vince Vaughn insolitamente contenuto, è più una presenza di raccordo che un personaggio complesso: ha un lutto da elaborare, un sogno da realizzare, un ristorante da portare avanti. Serve soprattutto a fare spazio alle vere protagoniste: le nonne.

Ed è proprio lì che il film trova la sua anima. Le figure femminili, interpretate da veterane come Susan Sarandon, Lorraine Bracco, Brenda Vaccaro e Talia Shire, portano sullo schermo calore, umanità, ironia. I loro battibecchi in cucina, i racconti mescolati al sugo, i gesti ripetuti da decenni respirano autenticità. È un peccato, allora, che il film si limiti a sfiorarle. Le nonne sono adorabili, sì, ma restano figure di contorno. Ognuna avrebbe avuto il potenziale per essere il centro di una storia a sé, per diventare qualcosa di più di un siparietto tenero.

Nonnas sceglie invece di restare sempre nel registro del garbato. Il montaggio è pulito, la fotografia calda, il ritmo prevedibile ma mai molle. Le sequenze in cucina – che dovrebbero essere il cuore visivo del film – non lasciano il segno quanto ci si aspetterebbe: manca una vera sensualità del cibo, non si sente il profumo, non si percepisce quel legame viscerale con la materia prima che film come Big Night o Julie & Julia sapevano evocare. Nonnas ti fa venire voglia di cucinare qualcosa di buono, sì, ma difficilmente ti fa venir voglia di riguardarlo.

Dal punto di vista narrativo, tutto fila via senza intoppi. C’è una crisi, certo, ma si risolve con un colpo di cucchiaio. C’è un conflitto, ma viene subito addolcito dall’affetto. Nulla è davvero in discussione. È il cinema del benessere, quello che Netflix padroneggia con formule rodate, dove la complessità viene evitata in favore dell’accessibilità.

E allora la domanda è: va bene così? La risposta dipende da cosa cerchiamo. Se vogliamo un film che ci faccia compagnia mentre prepariamo la cena o ci accompagni in una serata pigra, Nonnas è perfetto. Ma se desideriamo uno sguardo più profondo sulla memoria, sull’identità, sulla forza delle donne anziane che hanno tenuto insieme famiglie e ricette attraverso i decenni e i continenti, allora Nonnas ci lascia a metà strada.

E così si torna al punto di partenza. La cucina italiana nel mondo non è solo un insieme di ricette, ma un codice, una lingua, una forma di resistenza culturale. Nonnas lo intuisce, ma sembra averne un po’ paura. Preferisce accarezzare lo spettatore piuttosto che pungolarlo. Il risultato è un film affettuoso ma innocuo, come un sugo senza sale: c’è tutto quello che serve, ma manca proprio quel pizzico in più che fa la differenza.

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