Rappresentazioni LGBT e serialità italiana

 

Un tratto ricorrente nelle produzioni seriali italiane degli ultimi anni è un’inedita attenzione per la rappresentazione di tematiche di genere. Ci si può domandare quale possa essere la ragione di tale fenomeno, un motivo che vada al di là dell’importanza che questi temi rivestono oggi nel dibattito sociale: in primo luogo si può considerare che il maggior tempo di narrazione concesso da una serie permette di sviluppare questi argomenti con un certo grado di lucidità e approfondimento, evitando rappresentazioni stereotipiche da sempre molto frequenti nei media audiovisivi.

D’altra parte, però, non si può non considerare anche la dimensione economica, che nelle produzioni seriali è quasi più incisiva che nel cinema. Il mercato seriale internazionale ha mostrato negli anni una considerevole apertura rispetto, ad esempio, alla rappresentazione della comunità LGBTQIA+, di conseguenza la serialità italiana, puntando ad essere competitiva anche all’estero, tende ad accogliere a sua volta narrazioni di questo tipo. Ciò vale ancora di più per le produzioni delle piattaforme, per cui la circolazione dei prodotti è molto più immediata rispetto ai titoli dei broadcaster.

Questo discorso si adatta ancora meglio quando si parla di Netflix, che da sempre dedica molto spazio alle tematiche di genere nei suoi prodotti, raccontando frequentemente proprio la lotta per l’autodeterminazione in contesti dominati da un regime eteronormativo. Un esempio è Suburra – La serie, prima produzione italiana di Netflix, che vede tra i suoi protagonisti un personaggio omosessuale, Spadino (Giacomo Ferrara), distaccandosi così dalla consuetudine del genere gangster che storicamente ha sempre avuto al centro personaggi eterosessuali. Così come altre produzioni Netflix internazionali (prendiamo come esempio, dato il recente successo, la quarta stagione di Stranger Things) la libera espressione omosessuale rimane qualcosa che i personaggi non riescono a raggiungere e anche lo stesso Spadino, pur rivendicando la propria identità, finisce per seguire il destino voluto per lui dalla famiglia, sposandosi.

Diverse e per certi versi opposte in tal senso sono, ovviamente, le serie dirette da Ludovico Bessegato, vale a dire Skam Italia (Netflix) e Prisma (Amazon Prime Video), delle quali è stata spesso lodata la naturalezza con cui vengono tematizzati l’omosessualità e l’identità di genere dei personaggi. Non solo l’omosessualità è trattata come un non–problema, quindi la discriminazione o la violenza di genere sono (quasi) assenti, ma le relazioni omosessuali sono messe in scena allo stesso modo, sia sul piano quantitativo che qualitativo, di quelle eterosessuali. Non è un fattore secondario, visto che proprio la disparità di trattamento tra la sessualità gay e quella etero all’interno dei media è spesso stata al centro di aspri dibattiti, che non hanno risparmiato nemmeno casi celebri e generalmente apprezzati (Chiamami col tuo nome). Skam Italia, che con la sua quinta stagione ha sfiorato anche il tema della mascolinità tossica, è interessante inoltre per come la trattazione di questi argomenti si estenda anche al di fuori dei confini testuali: Pietro Turano, interprete nella serie di Filippo Sava, personaggio gay che nella seconda stagione aiuta Martino (Federico Cesari) a comprendere la sua sessualità, è un attivista per i diritti LGBT.

Prisma è ancora più indicativo per come ribalta alcune aspettative riguardo i ruoli di genere, grazie alla scelta di concentrarsi sui due gemelli Andrea e Marco, entrambi interpretati da Mattia Carrano, uguali fisicamente ma profondamente diversi: il fratello in crisi con la propria identità di genere è in realtà quello che si mostra più sicuro di sé, mentre l’altro appare timido, solitario ed introverso, allontanandosi da un paradigma indubbiamente più diffuso che generalmente caratterizza il personaggio in difficoltà con il proprio genere con elementi di fragilità e insicurezza. L’identità di genere trova posto anche nella co–produzione italo statunitense We Are Who We Are (HBO) diretta da Luca Guadagnino, ma in generale si può notare che la rappresentazione di realtà transgender ha ancora uno spazio esiguo all’interno della produzione italiana.

Per concludere si può notare come l’omosessualità femminile, al contrario di quella maschile, sia tutt’oggi generalmente poco presente nelle serie italiane, nonostante alcuni casi interessanti: si veda il personaggio di Selene Caramazza nella recente The Bad Guy (Amazon Prime Video), miniserie crime dove le relazioni che hanno un ruolo centrale nella trama sono però chiaramente eterosessuali. Chissà se l’auspicabile seconda stagione non riserverà qualche sorpresa in tal senso.

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