Mercoledì: la vertigine dell’ombra
C’è un istante, guardando la seconda parte della seconda stagione di Mercoledì, in cui capisci che la serie non ha più intenzione di accontentarsi di essere solo un gioco gotico ben confezionato: decide di sporcarsi, di eccedere, di cercare vertigine. La prima metà aveva tenuto un passo quasi controllato, giocando con i conflitti familiari e con il rapporto sospeso tra Mercoledì e Morticia, ma questi nuovi episodi scelgono di lasciare la sicurezza del terreno già battuto e di avventurarsi in un caos narrativo che alterna momenti folgoranti a scelte dissonanti. È come se l’ombra avesse preso definitivamente il sopravvento e con essa l’urgenza di mostrare metamorfosi e maschere che si spezzano. La scrittura accelera, i colpi di scena si susseguono con voracità, la trama si biforca in molte direzioni, rischiando a tratti di disperdersi.
Ma è proprio in questo squilibrio che la serie trova la sua forza: non la compostezza, ma l’eccesso; non l’ordine, ma la frenesia vitale che appartiene al personaggio stesso di Mercoledì. Jenna Ortega resta magnetica, sempre al centro della scena anche quando sembra che la storia voglia soffocarla tra mille linee parallele. Il suo sguardo continua a essere una lama che squarcia la superficie, rendendo credibile ogni scelta, anche quelle meno felici sul piano della scrittura. Intorno a lei, però, il mondo non è più un semplice contorno: i personaggi secondari reclamano spazio e qualcuno riesce davvero a conquistarlo. Enid, soprattutto. È lei il vero contrappunto, il respiro che bilancia la durezza di Mercoledì. La sua trasformazione sotto la luna piena, il gesto di esporsi e rischiare per salvare l’amica, sono momenti che superano la costruzione narrativa per diventare icone visive, simboli che resteranno impressi nella memoria collettiva come lo era stato il celebre ballo della prima stagione.
È qui che la serie dimostra di avere ancora la capacità di sorprendere, di creare immagini che diventano fenomeno culturale. Altri personaggi trovano meno fortuna, oscillando tra abbozzi di profondità e derive accessorie, ma nel complesso la coralità è segno di un’ambizione più grande: non raccontare solo una ragazza, ma un intero ecosistema di diversità, fragilità e desideri. Anche l’inserimento di momenti dichiaratamente pop, come il numero musicale che porta la firma di Lady Gaga, contribuisce a segnare un cambio di tono: la serie non rinuncia al suo lato ironico, consapevole di essere ormai parte dell’immaginario globale e di giocare con le regole dello spettacolo.
Poi arriva il finale, ed è lì che Mercoledì tenta il suo salto più alto. Rivelazioni, sacrifici, battaglie che cercano la grandezza tragica: non tutto funziona, alcune linee narrative si chiudono troppo in fretta, altre restano sospese con un’incertezza che non sempre si traduce in mistero, ma l’effetto complessivo è quello di un epilogo che non vuole rassicurare. È una conclusione che preferisce lasciare ferite aperte, cicatrici visibili, come se il senso ultimo fosse proprio l’impossibilità di ricomporre davvero l’ordine.
In questo scenario Enid assume un ruolo decisivo, diventando co-protagonista di un destino che non è più solo di Mercoledì. Il gesto di risparmiare Tyler, il confronto con Hyde e con le ombre che popolano Nevermore, il continuo oscillare tra crudeltà e pietà, sono la prova che la serie non ha paura di mostrare l’ambivalenza del suo personaggio principale: un’eroina gotica che resta fedele alla sua essenza cinica e tagliente, ma che sa ancora sorprendere scegliendo la compassione dove tutti si aspettano l’annientamento.
Quello che resta, a visione conclusa, è un’impressione potente: Mercoledì non è più solo il nome di una ragazza con trecce nere e uniforme scolastica. È diventata un interregno, uno spazio liminale dove potere e vulnerabilità si confondono, dove l’identità non è mai una forma definitiva ma una maschera che si incrina e rivela altro.
La sua forza è proprio qui: nel ricordarci che la verità non sta nella perfezione della trama, ma nelle crepe, nelle dissonanze, negli eccessi che rendono vivo un racconto. È per questo che, quando lo schermo si spegne, resta addosso quella sensazione di aver camminato al fianco di Mercoledì in un territorio oscuro e instabile, e di non voler tornare mai del tutto alla luce, perché l’ombra che ci ha lasciato negli occhi è forse la parte più autentica della visione.