Nobody Wants This 2: la nuova stagione tra amore, fede e contraddizioni
Nobody wants this torna su Netflix e con questa nuova stagione ci regala grandi sorprese, ma anche qualche perplessità.
La serie che ci ha mostrato che essere scomodi è okay e può essere pure attraente e che le relazioni possono essere sane,affrontando diversità e contrasti, funziona. Il rabbino Noah e la cinica e agnostica Joanne sembrano avere una chimica perfetta (grazie a quella innegabile fra gli attori protagonisti Kristen Bell e Adam Brody) eppure lo scheletro nell’armadio della loro perfetta relazione rimane sempre far coincidere i loro mondi. O meglio, far adattare lei a quello di lui. Le tematiche affrontate toccano molti punti piuttosto scomodi che vanno ben oltre il mondo delle relazioni e le dinamiche uomo-donna (ormai un pochino superate, divertenti e impolverate dei vari Harry ti presento Sally, 10 giorni per farti innamorare e le rom-coms a cuor leggero). Questa stagione riprende e approfondisce il tema della vocazione religiosa e della compatibilità nella diversità, ma introduce anche quello dell’incompatibilità e mostra le insicurezze e le difficoltà delle coppie nei rapporti matrimoniali
Parlare di questa serie, però, è più spinoso di quanto possa sembrare.
Entrano in gioco due criteri di valutazione: da un lato, ci sono i punti di forza, quelli che saltano subito all’occhio, dall'altro un sottotesto che non può essere ignorato. Fra i punti a favore c'è la creazione di una storia reale e realistica in cui si verifica un altrettanto realistica evoluzione nei personaggi. In questa stagione, per me, vincono quelli secondari, oscurati in quella precedente incentrata sulla grande storia d'amore. A mio parere i ruoli “di contorno” sono molto più interessanti nel loro essere a tratti grotteschi, spesso sgradevoli, problematici e meno centrati dei protagonisti, come nel caso di Morgan, su cui la serie pone finalmente l’attenzione che si merita.
Bisogna parlare anche sotto un’altra ottica: Nobody wants this si vede tutta d'un fiato, è divertente, scorrevole, intelligente, ma rimane intrisa di un sottotono che è impossibile non notare. Se nella prima stagione l’attenzione era concentrata sulle relazioni, la seconda è accompagnata da molta più propaganda sulla religione ebraica che prima era presente, ma in maniera più velata. Il protagonista stesso alimenta un’idea ben precisa nell’immaginario dello spettatore: il rabbino bello, simpatico, buono e moderno. Non c'è nessun problema nel parlare di religione e di fede, ma è il modo in cui viene presentata che cambia le cose. In questo caso l’ebraismo è la pillola indorata, la religione che può andare incontro a tutti se solo sanno cogliere quanto è magnifica; impossibile non ragionare sul fatto che la piattaforma Netflix abbia dichiarato il suo sostegno morale allo Stato di Israele e stia cercando di dipingere un certo ritratto. Attenzione: non sto dicendo che parlare di ebraismo o addentrarsi in questioni teologiche sia sbagliato, ma sto sottolineando il contesto e le modalità in cui questo è stato fatto.