Esterno Notte - Tributo e ringraziamento per Fabrizio Gifuni parte 1
L’esatto procedere di un lento respiro, la statura di un santo, con le sue debolezze e la sua incrollabilità morale. Questo ho ritrovato nell’Aldo Moro di Fabrizio Gifuni nella sua impeccabile interpretazione nel lungo progetto di Esterno Notte di Marco Bellocchio, secondo lungometraggio del regista piacentino sul Caso Moro dopo Buongiorno Notte del 2003. Il racconto ha un procedere ibrido, fra la forma seriale suddivisa in capitoli - sono sei, ognuno dedicato ad una personalità centrale della terribile vicenda - come è difatti disponibile sullo streaming Netflix, oppure nella forma originaria di un unico film da ben trecentoquarantaquattro minuti, suddiviso in due parti, come è stato proposto dalla distribuzione in sala prima dell’arrivo in piattaforma.
L’evento di cronaca è noto ma la bellezza di questa storia risiede particolarmente nei meccanismi di umanità proposti da Bellocchio e interpretati splendidamente dal cast (tra gli altri: Tony Servillo, Margherita Buy nel ruolo intenso di Eleonora Chiavarelli moglie di Aldo Moro, Gigio Alberti, Fausto Russo Alesi) su cui svetta la performance di Gifuni che gli è valsa all’attore anche il suo secondo David di Donatello come miglior attore, nell’edizione del 2023. Infatti, anche quando non è in scena, in particolare negli episodi centrali della miniserie (o se preferite: nella parte centrale del lungometraggio) quando sono già purtroppo ben che avviati gli eventi posteriori al 16 Marzo 1978, è comunque il protagonista a sovrastare e a rimanere negli occhi e nell’affezione degli spettatori, che sperano sempre in una sua nuova ricomparsa nell’inquadratura.
Fabrizio Gifuni restituisce in pieno la drammaticità di una condizione problematica, quale è la rappresentazione di uno degli eventi più sconvolgenti del nostro passato nazionale nella figura di un Aldo Moro che rasenta perfezione. Egli rimette addosso a chi guarda le inimmaginabili sfumature sulla perdita di una personalità così grande, oltre a farci in questo modo problematizzare su ciò che non solo la politica ma anche interamente la nazione poteva essere se le cose fossero andate diversamente e gli altri uomini si fossero comportati in un’altra maniera. Come già definito altrove, il suo è il ritratto di un eroe tragico che diventa, suo malgrado, il racconto di un martirio individuale, fra dolore intimo, famigliare e collettivo, dove tuttavia questo martire non gli riesce neppure per un istante odiare i suoi diretti carnefici, ovvero i terroristi delle BR. In realtà la forma del suo controllato rancore è verso proprio i suoi ex compagni di partito che Bellocchio li trasfigura, grazie al reparto trucco, come dei veri e propri mostri, lugubri ed inquietanti nei loro comportamenti e nelle loro manie: in particolare Andreotti (Fabrizio Contri) e Cossiga (Fausto Russo Alesi) dove, nello specifico, è verso il primo che Esterno Notte dirotta le accuse maggiori di macchinazione e di oscuri sospetti, è il principale artefice che non pronuncia e non mostra quasi nulla di fronte agli spettatori ma è pronto a banchettare sulle carni di un santo appena caduto insieme ed è in combutta con gli altri loschi figuri, gli esponenti di punta del partito. Di convesso, invece, si mostra il viso sofferente e gentile di Moro-Gifuni, tutti sembrano essere dalla sua parte, tutti vogliono restituire alla nazione quel gigante dalla profondità morale enorme ma sembra in realtà che nessuno vuole farlo veramente. E perciò verso il finale è lo stesso Moro che, confidandosi con un prete nel luogo della sua lunga prigionia, sente sulla sua pelle l’umanissima paura per la vita terrena che sta chiudersi e lui sta per cadere, esattamente come quando nei segmenti iniziali della narrazione appare in una visione a Papa Paolo VI (Toni Servillo) mentre porta sulle spalle una enorme e pesante croce, e cade, ha difficoltà a proseguire e a rialzarsi ed i suoi veri carnefici gli sono dietro, immobili nei loro completi scuri in giacca e cravatta e con le loro bandiere crociate.