Las muertas: la serie di Luis Estrada tra cronaca nera e satira sociale su Netflix
Dopo “Cien años de soledad” a onorare la letteratura messicana su Netflix esce “Las muertas”.
I fatti narrati sono ispirati direttamente al romanzo di Jorge Ibargüengoitia che ha, a sua volta, romanzato una storia di cronaca nera diventata caso globale negli anni 60: le tragiche e terribili morti delle giovani prostitute di cui sono state ritenute responsabili Arcángela e Josephina Baladro, matrone di vari bordelli clandestini nello stato di Plan de Abajo.
Il regista Luis Estrada si cimenta nel racconto a ritroso della serie di sfortunati eventi verificatisi nell’arco temporale dal 1950 al 1964 che hanno portato alla condanna delle sorelle spregiudicate. La vicenda è divisa in capitoli a cui viene dato un titolo, ciascuno di questi scandito dal suono di una macchina da scrivere, quella dello scrittore, voce fuori campo spesso seria e spesso amaramente divertita a cui si associa un volto solo alla conclusione.
Estrada dà vita a una storia grottesca e cruda anche grazie a un’estetica studiata su misura per andare a creare un senso di claustrofobia e a rendere le ambientazioni sinistre con toni sbiaditi effetto “vintage” e polveroso. I protagonisti sono stati costruiti talmente bene, in particolare le sorelle Baladro, da riuscire a farti empatizzare con quelle che appaiono sulla carta come persone terribili. Alcuni personaggi, come le appena citate sorelle, non sono affatto controverse: sono dichiaratamente delle implacabili e insaziabili commercianti, delle padrone dure e pronte a trattare e ad utilizzare i soldi per uscire da ogni situazione, come Arcángela, o passionali e manipolatrici, guidate dall’istinto di sopravvivenza e dalla sete di vendetta, come Serafina.
In altri casi è tutto più grigio, come per il personaggio de “la Calavera”, serva delle Baladro, aiutante e complice, ma anche una figura fedele e materna verso tutti, in particolare verso le ragazze del bordello.
Le figure femminili sono davvero così tremende? E di chi è la colpa? Di chi sfrutta un sistema marcio o di chi lo denuncia pubblicamente e ne fa parte ‘privatamente’?
La critica sociale al Messico non sta tanto nelle figure principali, ma nelle figure maschili di contorno: cittadini, funzionari, politici, militari pronti a far buon viso a cattivo gioco e a farsi corrompere, avidi, falsi e raggiratori oppure ignavi, pavidi o ancora assetati di notizie, di scandalo come i giornalisti che hanno costruito un caso mondiale alterando molte verità. La maggior parte di questi uomini sono dipinti come manipolabili perché schiavi del desiderio e sfruttando il desiderio maschile si costruisce un impero economico.
Lo spettatore non finirà mai di stupirsi nel vedere uno Stato gelidamente capitalista e machiavellico raccontato senza moralismi e senza pietà e con un tocco di umorismo nero che si riesce a cogliere fra le righe. Ogni singola persona, anche la più insospettabile, raggira e sfrutta il prossimo e lo pugnala alle spalle per ottenere un tornaconto personale.
¡Viva México!