FUBAR 2: per Schwarzenegger l’amore è (quasi) una missione impossibile

Dopo una prima stagione accolta con un certo scetticismo ma che, nel suo essere spicciola e leggera, era riuscita a ritagliarsi un piccolo pubblico affezionato, FUBAR torna su Netflix con una seconda stagione che cerca di alzare l’asticella, quantomeno di qualche centimetro. Pur con qualche timido miglioramento, infatti, i difetti strutturali della prima stagione sono tutti ancora presenti.

La famiglia Brunner, allargata e complicata, si ritrova ora costretta a vivere sotto copertura in una casa “sicura”, concetto che nella serie ha sempre un’accezione piuttosto relativa. Nonostante l’isolamento forzato, i protagonisti sono chiamati a sventare un nuovo piano di distruzione degli Stati Uniti, ovviamente più grande, più ambiguo e più pericoloso del precedente. Il tutto si risolve nei soliti dialoghi concitati, briefing al quartier generale (diventata ora la casa) e bizzarre situazione domestiche che riempiono gran parte della narrazione.

Il tema principale stavolta è l’amore. Nella seconda stagione FUBAR si lancia in un pasticcio sentimentale che vorrebbe essere intenso, ma risulta spesso confuso e forzato: Luke (Arnold Schwarzenegger) è stretto in un triangolo amoroso tra l’ex moglie e Greta, la fiamma storica creduta morta e interpretata da Carrie-Anne Moss. Emma (Monica Barbaro), ancora una volta vero fulcro della serie, è invece divisa tra Carter, l’ex fidanzato pieno di buone intenzioni, Aldon, il collega bello e superficiale, e Theodore Chips, il cattivo redento di turno, in una parabola amorosa che rasenta il macchiettistico. C’è spazio anche per Barry, il genio tecnologico del gruppo, che continua la sua relazione con Tina ignorando che si tratta in realtà di una spia doppiogiochista.

Anche in questa seconda stagione Arnold Schwarzenegger non si sforza troppo sul piano fisico. Le sue scene d’azione si contano sulle dita di una mano (cosa più che giustificata contando l’età). Il peso dell’azione ricade nuovamente su Monica Barbaro, che si conferma dinamica e credibile, pur dovendo muoversi in una sceneggiatura spesso raffazzonata. La comicità rimane spicciola, forse leggermente più digeribile, anche se ci sono momenti in cui la serie scivola nel trash più totale con soluzioni anticlimatiche che smorzano qualsiasi tensione o sviluppo narrativo. Giusto per capirci, c’è un maialino domestico…

I problemi di budget continuano a essere evidenti: gli episodi si sviluppano più per esposizione che per azione, con i personaggi che spiegano cosa stanno per fare invece di farlo, e quel poco che si vede sul piano visivo svela dei limiti produttivi più che giustificabili. Gli ambienti restano chiusi e poco ispirati, e anche quando la serie tenta il colpo di scena, lo fa con mezzi poveri e idee non troppo originali.

Eppure, qualcosa migliora: i personaggi, pur rimanendo fortemente macchiettistici, iniziano a sviluppare una parvenza di tridimensionalità. Alcune dinamiche relazionali, se non altro, sembrano più coerenti rispetto alla confusione della prima stagione. Si ride di più, magari con leggerezza, magari solo per passare il tempo, ma ogni tanto si ride. Non solo, si riesce anche a tollerare meglio la struttura episodica poco organica che rimanda ai vecchi telefilm con dei cliffhanger e una costruzione narrativa tutto sommato ben fatta.

La seconda stagione di FUBAR non riscrive le regole del genere, né si preoccupa troppo di farlo. Rimane una serie “di mezzo”: a metà tra spy comedy, sitcom disfunzionale e serie familiare. Ma se presa per quella che è, ovvero un passatempo senza troppe ambizioni con qualche momento divertente e un cast che almeno prova a crederci, riesce ancora, paradossalmente, a funzionare. Non ci resta che attendere (forse) la terza stagione.

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