Squid Game stagione 3: genitori, figli e la maschera del capitalismo

La terza stagione di Squid Game arriva su Netflix rispettando le aspettative degli spettatori. Dopo una seconda stagione di costruzione, la terza riprende tutti i nodi principali della trama per condurci al gran finale. Avevamo lasciato Seong Gi-hun a combattere contro i mulini a vento del capitalismo, protagonista di una folle rivolta finita malissimo. Ma quello non era che un assaggio di quanto succederà in questa nuova stagione. Gi-hun si renderà presto conto che non si può sconfiggere il capitalismo finché esso rimane così sistemico e radicato. Come nella prima stagione, l’unica arma a disposizione dei concorrenti per contrastare questo male è l’empatia: cercare di compiere le scelte più umane possibile. Ma questa umanità viene costantemente messa alla prova, con il rischio di scivolare dall’altra parte.

Se con la seconda stagione si era introdotta una critica sociale più esplicita, rappresentata da personaggi che incarnavano la schizofrenia dell’attualità coreana, nella terza questa componente si diluisce e i toni si fanno ancora più cupi. Il motivo è semplice: i personaggi più controversi vengono eliminati progressivamente, e la componente dominante non è più tanto legata al loro background, quanto alla degenerazione psicologica causata dalle scelte estreme necessarie per sopravvivere nel gioco.

Uno dei temi centrali di Squid Game 3 è quello della genitorialità e del rapporto genitori/figli. Non è un caso che la componente legata alla genitorialità e al rapporto con i figli sia così centrale: si tratta di un tema profondamente sentito in un Paese che registra uno dei più bassi tassi di natalità al mondo. Nella serie ci sono Geum-ja e Yong-sik, madre anziana e figlio costretti a scelte difficili per sopravvivere; la nordcoreana No-eul, alla disperata ricerca della figlia che non ha potuto portare con sé; Gyeong-seok, entrato nel gioco per procurarsi i soldi necessari a curare la sua bambina malata; e infine, il rapporto più interessante, quello tra Jun-hee e Myung-gi in attesa della nascita della loro figlia. Proprio intorno a lei i VIP e gli organizzatori del gioco daranno il peggio di sé, e sarà questo l’elemento a tenere viva la tensione fino alla fine. Questo elemento narrativo si rivela cruciale perché, con il procedere degli episodi, si perde progressivamente l’attaccamento emotivo ai concorrenti superstiti, ormai ridotti a macchiette portatrici di pensieri scontati e stereotipati. È proprio la presenza della bambina in arrivo a spingere i personaggi a confrontarsi con gli abissi della degenerazione umana, trascinandoli in un vortice che mette in dubbio non solo la possibilità di sopravvivere, ma anche quella di ottenere il denaro promesso. 

In questa stagione i VIP mostrano finalmente il loro volto, abbandonando le maschere. Dare un volto al male è un espediente interessante: le maschere disumanizzano, rendono distanti. Offrire un’identità a questi personaggi li trasforma in qualcosa di ancora più mostruoso, sottolineando come il male possa essere reale e accessibile a chiunque. Se infatti i concorrenti agiscono per spirito di sopravvivenza, per reintegrarsi nella società o per sete di denaro, i VIP sono mossi solo dal desiderio di provare emozioni ormai sopite. È un peccato che il finale, caotico, non si soffermi di più sulle loro reazioni, perché avrebbe potuto offrire interessanti sviluppi psicologici.

In conclusione, Squid Game 3, complice anche una seconda stagione più interlocutoria e a profilo basso, riesce a rilanciare il livello della serie, emozionando e regalando momenti davvero memorabili. Restano però evidenti i limiti di una narrazione che, nonostante le dichiarazioni del creatore, continua a risultare derivativa e poco originale. Molto ha contribuito il momento storico favorevole, ma forse ancor di più la capacità di Lee Jung-jae di dare profondità a un Seong Gi-hun con cui il pubblico ha saputo entrare in empatia.

Con questa terza stagione si conclude il primo ciclo narrativo della serie che, come da prassi, sembra però aprire spazi a possibili sequel o spin-off. Non aspettatevi quindi una stagione conclusiva e interlocutoria: la lotta al capitalismo sembra appena cominciata.

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